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"La verità è che nessuno vincerà"
Quando la malattia varca la soglia di quel luogo che da sempre ha costituito il tuo rifugio, il tuo nucleo di affetti e che comunemente è appellato “casa” puoi dire addio ad ogni tua difesa, ad ogni confine di moralità ed immoralità perché l’istinto prevale sulla ragione, sulle conseguenze, su tutto.
Questo è ciò che accade nella famiglia di Anna: sua sorella maggiore Kate ha una particolare forma di leucemia, una patologia che oltre ad essere estremamente rara è anche enormemente aggressiva. E qui inizia il dramma. Quella di Anna è una storia come tante e come poche, chi nella sua vita è passato almeno in un’occasione per i meandri del malore (qualunque esso sia) conosce bene passaggi che collegano una disperazione all’altra, la rassegnazione dovuta all’incapacità di poter anche solo lentamente fare qualcosa e doversi altresì limitare ad osservare la sofferenza, la morte lenta ed inesorabile, o ancora lasciarsi illudere da un inaspettato miglioramento a cui segue un nuovo ed interminabile precipizio; chi al contrario non ha avuto questo onere potrà trovare i predetti passaggi quali non fondamentali, superflui e eliminabili, non per cattiveria, semplicemente perché non è abituato a veder scorrere le lancette di un orologio minuto dopo minuto, non è conscio di come questo possa sopraffarti, di quanto desiderio si nasconda dietro una attesa e dietro ad uno sguardo.
Il problema che l’autrice ci pone è quello della emancipazione medica di Anna che, a soli tredici anni, non ce la fa più, non se la sente più di essere donatrice per sua sorella; e non pensate che sia la richiesta egoistica di una bambina in fase adolescenziale, la nostra protagonista ha iniziato a salvare la sua consanguinea nonché migliore amica quando aveva appena 6 anni (e la maggiore nove) ed ora quel che le viene chiesto è un rene. Per dar voce alla sua pretesa Anna non ha altra scelta che rivolgersi ad un legale e portare la sua causa in Tribunale affinché un giudice terzo ed imparziale udite le sue parole ed il suo vissuto possa decidere quello che è il meglio per tutti loro. Arrivati ad un certo punto infatti non si tratta più solo e soltanto del diritto della giovane di disporre del suo corpo, si va ben oltre, si toccano temi di eticità e moralità indiscussa quale il diritto alla vita, la configurazione del diritto di vivere in modo dignitoso, lasciare andare anche quando non vorremmo.
A livello di famiglia tutti vengono toccati dalla situazione della malata, Kate stessa non è immune a ciò. Sara, la madre, non riesce a pensare nemmeno per un momento alla sua vita senza sua figlia e dunque esige che Anna doni il rene, talvolta le fa delle pressioni psicologiche tali che sinceramente la fanno odiare e spingono il lettore al limite poiché da un lato spontaneo è chiedersi “ma è impazzita, ma non si rende conto di quello che fa e delle conseguenze a cui sottopone sua figlia minore?”, dall’altro viene spontaneo associarsi a lei in una lotta che ci da per perdenti sin dall’inizio ma a cui non ci sentiamo di sottrarci perché si tratta pur sempre di una vita, si tratta pur sempre di una persona a noi cara (nel caso di specie di una figlia), Brian il padre è consapevole dei rischi del trapianto e mai vorrebbe rinunciare a Kate ma si rende anche conto che, per quanto sia difficile, forse è arrivato il momento di lasciarla andare, Jesse è la pecora nera del nucleo familiare e vive nella più completa invisibilità, ha fatto di tutto pur di attrarre l’attenzione dei suoi genitori seppur con scarsissimi risultati (vengono narrati degli episodi a lui relativi che fanno sinceramente prendere a cuore il giovane, che permettono al lettore di entrare in simbiosi con lui perché mai un figlio dovrebbe essere sottoposto alla malattia di una sorella/genitore etc ma nemmeno essere abbandonato da questi perché la priorità è un’altra), vi è Anna che è stata letteralmente progettata per essere la donatrice perfetta per la maggiore e la cosa peggiore è che è consapevole delle ragioni della sua nascita, infine vi è Kate e tutto l’universo che la circonda, la malattia, la voglia di lottare, tornare alla vita o lasciarsi semplicemente andare.
Personaggi forse secondari ma interessanti e di buona riflessione sono Julia, il tutore nominato dal tribunale, e Campbell l’avvocato intitolato dalla minore per difendere i suoi diritti di emancipazione medica. Tra i due esiste un affetto da sempre ma tanti sono stati gli avvenimenti che li hanno fatti allontanare tanto che il ritrovarsi dopo 15 anni gli offre il modo di spiegarsi e di chiarirsi delle rispettive incomprensioni e/o torti. Judge, il fedele pastore tedesco del legale, contribuisce insieme alle vicende amorose della coppia, a stemperare un po’ il clima che si crea nel romanzo e che come appare di tutta evidenza non è chiaramente leggero.
Che dire, stilisticamente il componimento è fluente, ogni capitolo vede l’alternarsi della voce narrante (caratteristica tipica della Picoult), parte con gran velocità tanto che il lettore divora le prime 210 pagine per subire dopo queste una leggera battuta d’arresto – a tratti si fa greve come (e a causa) dei temi trattati – ed infine giungere ad un finale che può deludere e non. La scrittrice riesce con questa scelta narrativa a ricostruire passo dopo passo i ricordi di gioia e di tristezza di queste anime. Chi legge tende a mutare più volte la sua opinione in quanto all’inizio si schiera contro Sara e a favore di Anna, poi tende a rivalutare Sara perché comprende che agisce come madre, successivamente entra in simbiosi con Brian e Jesse, nuovamente con Kate ed infine sul finale dopo le riflessioni dei due avvocati, del giudice e del tutore arriva alla conclusione che in determinati circostanze non c’è una scelta più giusta dell’altra, perché in taluni casi, comunque vada, non vi è mai un vero vincitore.
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