Dettagli Recensione
Moderno immortale
Un romanzo che cattura l'attenzione del lettore poiché gode dell' indiscusso fascino delle storie ben concepite e ben narrate. È quella del Complotto contro L'America infatti una storia estremamente interessante poiché tratta di accadimenti, sì veri, ma rivisitati, ribaltati e descritti in maniera del tutto speculare, quasi parossistica rispetto a quello che poi è stato il naturale corso degli eventi. E se già altri autori s'eran cimentati con questo genere di chiamiamole "analisi per assurdo" con risultati incerti (tra i vari vedasi il grande Philip K. Dick con “la svastica sul sole”, libro geniale, potente, intimo ma davvero troppo disordinato e quell’ oscuro scrittore che è Matt Ruff, sempre a cavallo tra serio e faceto, con “Le False Verità”, libro che ad oggi non mi è stato ancora possibile recensire per la sua ormai difficile, e forse per questo significativa..., reperibilità) come se la sarebbe cavata uno come Philip Roth, uno cioè che più che gli effetti speciali e l'azione predilige la razionalità, il ragionamento e l'introspezione?
Bene, Philip Roth, come era logico aspettarsi, qui non se la cava per nulla male! Pur non snaturandosi con balzi nel vuoto e sfavillanti sparatorie infatti riesce a creare una realtà del tutto opposta a quella raccontataci dai libri di storia, una realtà che malgrado l'elemento assurdo gli concede la possibilità, forse ancora più che in altre sue opere, di sondare la profondità dell'animo umano, delle sue pulsioni, dei suoi istinti e soprattutto delle sue contraddizioni.
La storia narrata nel “Complotto” si rifà anche qui alla seconda guerra mondiale, ma non viene affrontata dal punto di vista dei prodromi come in Dick, ma da quanto accadde, o meglio sarebbe potuto accadere, subito prima in America; sfruttando infatti il reale vociferare che all'epoca si faceva di Lindberg, l'asso dell'aviazione, e della sua vicinanza agli ambienti filo nazisti, Roth ci presenta un America alla rovescia, un America sull'orlo di una seconda guerra civile, dove l'odio razziale grazie al presidente neoeletto si trasforma in odio anti semitico e l'unione dell'opinione pubblica invece che condannare le gesta del gerarca nazista d’oltre oceano quasi le approva, e se non la approva almeno le giustifica come estrema conseguenza di una situazione ormai giudicata insostenibile, facendoci insomma vivere (o ri-vivere per i più longevi) più che l’orrore che si era consumato in quegli anni in Europa, la tensione e la paura di un qualcosa che non era ancora accaduto ma che tutti sapevano che era li li per succedere e al quale sapevano di non potersi opporre, un orrore la cui unica soluzione insomma era o la fuga o la morte.
Ma davvero in Europa non potevano, davvero non c’era nulla che potessero fare per evitare lo sterminio di milioni di ebrei? E in America? Persino gli americani, gli americani di Roth, saranno impotenti di fronte a questa strage che si sta per compiere, e per giunta, questa volta, sul proprio suolo?
No, stavolta no, o non è detto, non è così necessariamente scontato, poiché se una cosa succede in un luogo, con un popolo e una cultura, non è automatico che accada in ogni luogo e con ogni cultura e l'Europa è l'europa, sembra sottolineare l'autore, ma l'America... è l’America! E la testardaggine yankee, che sopperisce talvolta alla faciloneria, il civile senso comune del bene del patriota che ogni tanto fa da scudo e talvolta da sprone all'ingenuità, potrebbero persino essere sufficienti a non far degenerare una situazione ormai già più che drammatica. Perché infatti arrendersi all'inevitabile, perché darla per vinta a qualcuno che non la pensa come noi, e sul “nostro” suolo? Certo sarà dura, sarà difficile, ma che fine han fatto lo spirito di sacrifico, l'eroismo, l'aspirazione al bene dell’ onesto cittadino made in USA?! E dunque secondo Roth per quanto, la stupidità, l’ignoranza e il terrore in cui sta per sprofondare l'Europa è di facile trasmissibilità anche oltre oceano non è detto che debba finire per forza così anche in patria, non fin tanto che esisteranno almeno brave anime pronte a combattere per i propri valori, anime di gente qualunque, di gente diversa, culturalmente e ideologicamente, ma che da sempre ha incarnato la forza di un popolo che malgrado le proprie umili origini si è ritrovato su un territorio comune, un territorio che è stato sì di conquista, che è stato sì ignorante e violento, ma che da sempre è stato anche un territorio di libertà e un territorio di coraggiosi,” the land of the free, the home of the brave!”
Vero, forse questa è un interpretazione un tantino retorica della realtà di Roth, ma come non rimanere colpiti dalla tenacia di quella famiglia ebrea attraverso la quale si vive tutta la vicenda, e come non rimanere sorpresi e per certi aspetti rispettosamente intimoriti da quel bambino, il protagonista, la voce narrante, attraverso i cui occhi, prima ingenui e poi fin troppo consapevoli, si vive il disagio, la paura, l'odio e in fine, come diretto insegnamento di suo padre (a suo modo padre della patria), il coraggio, l'abnegazione e la forza di volontà?
E l'ultima parte del libro, quella forse più interessante, quella dove vengono riportati cronologicamente i fatti come sono invece realmente accaduti suonano proprio come un monito, come a dire: attenzione poiché la follia umana non conosce davvero confini e basta un nonnulla perché un idea, per quanto stupida, per quanto assurda, possa trasformarsi in tragedia, basta di fatto che “gli altri”, tutti gli altri, non ci facciano caso, basta di fatto “lasciare che sia”; ma ancora attenzione però perché qui non è accaduto, qui non è successo, qui, da noi, la razionalità e il bene (come sempre...) hanno trionfato, perché ciò avvenga però non e semplice, occorre crederci veramente, occorre combattere sempre per quegli ideali in cui si crede e assolutamente, ma proprio assolutamente, non arrendersi mai!
E questo insegnamento, l’insegnamento finale del libro, se in tempi di guerra si focalizza su chi fa rispettare i diritti degli oppressi e trionfare il bene, in tempi relativamente pacifici, come quelli di quando è stato scritto il romanzo, si estende a tutta la popolazione che suole, e vuole, definirsi civile ed evoluta, e non tanto per evitare che fatti simili si possano ripetere (gli inizialmente giusti ma ormai poco più che retorici “Mai più” sono stati talmente tante volte ripetuti da aver purtroppo perso quasi tutto della loro iniziale genuina forza), ma per far capire che ognuno, nel suo piccolo, conta, è importante, e da solo, o, meglio, con altri, può avere la forza di cambiare la propria vita e quella di molti suoi simili. Basta appunto crederci, combattere e non lasciarsi “fannullonescamente”(e, da studenti a politici, e talvolta persino disoccupati!, quanti fannulloni oggi giorno si trovano in ogni ambito e società...) trasportare dalla corrente.
Dunque, in sostanza, come giudicare, o anche solo definire, un libro che partendo da un falso storico, attraverso un ragionamento per assurdo, e una dichiarazione d’amore nei confronti della sua patria, riesce a raccontare lo spirito di un popolo e, forse utopisticamente, ma pur sempre in maniera pura e cristallina, a insegnarci come dovremmo, e forse potremmo, vivere? Un libro insomma che partendo dal singolare raggiunge l’universale trascendendo tempo e luogo?
Bene, a mio modesto parere (scusate è tutta la vita che sogno di dirlo!) solo in un modo: trattandolo con il riguardo con cui si trattano alcune delle più grandi opere di ogni epoca e talvolta anche gli scrittori che le hanno scritte; se Roth infatti forse è ancora troppo presto per paragonarlo ai grandi, anzi agli immensi, del passato per una fondamentale mancanza (nostra) di prospettiva storica, almeno questo suo romanzo, Il complotto contro l’America, non lo si può definire in altro modo che un’opera immortale.
Peccato che lo stile iniziale sia vagamente piatto, ma chi ha mai detto che gli immortali non abbiano difetti? Highlander insegna...
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Laura