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Mors tua, vita mea...
Che forza, Irene! Che stile! Una potenza espressiva che ti travolge e ti avvolge, come un'onda dell'oceano quando insegue un surfista nella sua spirale d'acqua e lo trascina con sè, lo conduce lungo la sua scia e lui non può far altro che lasciarsi trascinare, sino alla fine, sin quando l'onda gli si abbatterà addosso con tutta la sua forza, spegnendosi.
E così come un'onda esaurisce la sua potenza nel giro di pochi secondi, allo stesso modo l'impeto di Irene si concentra in un centinaio di pagine, un racconto che si legge e si vive tutto d'un fiato, impossibile interromperne la lettura perchè una volta catturati dall'onda non è facile uscirne, praticamente soggiogati dalla sua forza cinetica, dalla progressiva accelerazione verso l'epilogo finale.
E' il primo libro che leggo di Irene Nemirovsky (e di certo non sarà l'ultimo) ma mi ha affascinato a tal punto che non ho potuto fare a meno di approfondire la conoscenza di questa donna, che sarà stata sicuramente una grande donna, forte, passionale, ribelle, un animo sensibile ma non debole, combattivo e certamente sincero, istintivo; perchè altrimenti non sarebbe riuscita a rendere così 'vivi' i suoi racconti, c'è un cuore che batte tra quelle pagine, c'è uno stomaco che si contorce per la rabbia, per l'odio verso chi le è più vicino, in primis i genitori, dai quali riceve incomprensione piuttosto che amore, accecati come sono dalla propria meschinità e menefreghismo.
E leggendo la sua biografia, percorrendo le tappe della sua breve ma intensa vita (come un'onda), si intuisce facilmente l'inquietudine e il desiderio di rivalsa da cui era tormentata: la nascita a Kiev nel 1903, gli anni dell'adolescenza trascorsi in fuga dalla rivoluzione russa prima in Finlandia, poi a Stoccolma ed infine in Francia dove vivrà sino al suo arresto da parte dei nazisti, nonostante la sua conversione al cattolicesimo, e la morte nel 1942 ad Auschwitz dove era stata deportata.
Due lingue, il russo e il francese, parlate alla perfezione; due culture, Oriente ed Occidente, assimilate ma in equilibrio instabile nella sua personalità; due religioni, ebraismo e cattolicesimo, mai veramente vissute spiritualmente anzi quasi rigettate e derise nelle loro contraddizioni.
Ma è nella descrizione dei suoi personaggi che Irene palesa la sua straordinaria vena narrativa:
ne 'Il ballo', la protagonista Antoinette (inevitabile considerarla alter-ego dell'autrice Irene dopo aver letto la sua biografia) è la figlia quattordicenne dei coniugi Kampf, lui banchiere ebreo che grazie ad investimenti ben calcolati riesce ad accumulare una grande ricchezza tanto da consentire alla famiglia il passaggio nell'alta società, quella dei ricchi e dei titoli nobiliari, e lei donna arrivista, ambiziosa e vanitosa, che dopo anni di sacrifici e rinunce che la vita 'borghese' le impone, può finalmente dar sfogo alla sua cupidigia, esaudire tutti i suoi desideri, anche quelli più futili, repressi per anni, in particolare quello di entrare di diritto nella società che conta.
E quale migliore occasione per farsi conoscere se non quella di organizzare un ballo, una cerimonia nella sua nuova residenza a cui avrebbero partecipato ben 200 invitati selezionatissimi, gente sconosciuta ma dai titoli altisonanti e che avrebbero confermato definitivamente il passaggio del signor e signora Kampf ad una nuova vita. E già, ma Antoinette? La signorina Antoinette, nel pieno della sua adolescenza è animata da quell'ardore tipico di una ragazza che si sente ormai donna, pronta e desiderosa di dismettere definitivamente i suoi vestitini da bambina, ormai troppo stretti, soffocanti quasi. Ma nessuno in famiglia sembra capirla, nessuno avverte il suo trambusto interiore anzi la madre per prima continua a trattarla come una bambina, una stupida bambina, che col suo broncio perenne, col suo atteggiamento disubbidiente ed indisciplinato non fa altro che aggiungere problemi, solo problemi, alla signora Kampf distogliendola dalla sua unica preoccupazione, il ballo, che la consacrerà nell'olimpo dell'alta società.
Antoinette soffre, medita, piange, il suo odio si amplifica nella crescente indifferenza dei suoi genitori sino ad esplodere alla prima occasione che le si presenta per mettere in atto la sua vendetta, tremenda quanto efficace vendetta.
E l'abbraccio finale è una sconfitta per entrambe, per la madre che vede crollare il suo castello faticosamente eretto e per la figlia che assapora senza pietà il gusto della vendetta, senza il minimo senso di colpa, lasciando quindi intravedere quello che diventerà Antoinette, una donna identica alla madre, una seconda signora Kampf:
'Era l'attimo, l'istante impercettibile in cui si incrociavano "sul cammino della vita": una stava per spiccare il volo, l'altra per sprofondare nell'ombra. Ma non lo sapevano. Eppure Antoinette ripetè piano: Povera mamma.. '
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Commenti
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Eh si, hai ragione...odio chiama odio...Stupenda l'immagine di un abbraccio finale che vede la sconfitta di entrambe...
La vita è una ruota...la sofferenza genera sofferenza.
Ma Irene con la sua intelligenza in qualche modo è riuscita a riscattarsi...ha trovato un uomo ( suo marito) che l'ha follemente amata e sostenuto nella sua opera di scrittrice....e per fortuna dico io.
Non fermarti a leggerla...Io ho iniziato dalla Preda...e non ho potuto smettere...
Ciao, Pia.
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Ferruccio