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Costumi e religione in uno shtetl dei primi del No
“La pecora nera” di I.J.Singer fu pubblicato postumo nel 1946 ed era stato inteso dall’autore come il primo volume di un’ autobiografia, rimasta purtroppo incompiuta. L’opera, infatti, ripercorre l’infanzia dello scrittore fino alla sua adolescenza. L’insieme che ne risulta è di grande interesse storico e culturale.
Ci si offre l’opportunità, infatti, di approfondire quelle che furono le usanze e i comportamenti delle comunità ebraiche degli shtetl, villaggi o vere e proprie cittadine situate nei paesi dell’Europa Orientale.
Qui siamo a Bilgoraj, nel distretto di Lublino, Polonia. L’epoca in cui inizia il racconto coincide con l’incoronazione dello zar Nicola II, il 1894, quando l’autore aveva pressappoco un anno. La cultura e la politica russa eserciteranno inevitabilmente un’influenza non indifferente sulle comunità ebraiche lì stanziatesi.
Alla descrizione dettagliata delle povere case del luogo, Singer aggiunge una galleria di personaggi molto ben delineati, di cui sottolinea, con notevole capacità satirica, i limiti, le idiosincrasie, le meschinità caratteriali. Incontriamo così Yosef il sarto, dedito alle birbonate, Leybush il fornaio, sempre coperto di farina come il suo cavallo, Yitskhok il carrettiere, magro e allampanato, reduce dal servizio militare in Russia, che va in giro a commerciare con il suo cavallo sporco e malconcio.
Il piccolo Singer dimostra sin dai primi anni di vita una predilezione per i personaggi più discussi e discutibili, parte di quella comunità. Egli diviene la pecora nera della famiglia.
I ritratti sicuramente più riusciti, tuttavia, riguardano i vari tipi di maestri che si succedono nel villaggio. C’è lo squilibrato mentale, Reb Meir, il maestro David, che consumava i pasti a casa degli scolari, il maestro Asher, soprannominato il silenzioso, che si reggeva i pantaloni con le mani, quello che accarezzava i bambini invece di frustarli e per questo allontanato precipitosamente, infine Moshe, che usava strapparsi la barba e masticarla.
L’ironia dell’autore non risparmia comunque neanche i genitori di cui ripetutamente evidenzia i limiti. Del padre sottolinea la mancanza di volontà, la pigrizia, l’incapacità decisionale, in breve la dabbenaggine. Della madre, che pure conduce una vita sottomessa, mette in risalto l’ intelligenza e la cultura.
Ed è il ruolo della donna, così maltrattata e sminuita nel contesto sociale, che viene riscattato dalle descrizioni di Singer. Egli rileva l’ingiusto trattamento ad esse riservato, per esempio al momento d’un parto. Generare una figlia significava non aver diritto neanche ad una giornata di riposo. Eppure queste comunità si basavano fondamentalmente sul lavoro e sull’impegno delle donne.
Se il quadro sociale risulta ampiamente dettagliato, non meno lo è quello religioso. Si apprende quanto sia importante il ruolo del rabbino, non solo per la divulgazione e l’approfondimento delle scritture, ma anche per la funzione di mediatore e di paciere nelle cause controverse tra coniugi. La sua funzione era dunque moralizzatrice e pacificatrice.
Il giovane Singer sembra non sopportare le regole della sua comunità spesso rigide e ipocrite. Egli infatti si comporta talvolta in modo non consono ai principi che gli erano stati trasmessi, quasi a voler affermare e ribadire il concetto che l’eccessivo rigore imposto ai giovani spesso genera una naturale e spontanea ribellione.
Non mancano infine accenni alla storia del popolo ebraico, alla diaspora che li portò a radicarsi in parti diverse del mondo e soprattutto è interessante l’accenno alla persona di Herzl che fu il primo ad affermare la necessità della creazione di uno stato di Israele. Ma questo investe il piano più specificamente politico, che forse Singer avrebbe sviluppato nel secondo volume che non ebbe tempo di scrivere, ma che certamente avrebbe compreso le dure e tristi esperienze della persecuzione e dell’esilio.
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Ho letto da poco " La famiglia Karnowsky", possiedo "I fratelli Ashkenazi" e non vedo l'ora di leggerlo anche per aggiungere dei tasselli utili per il confronto con la scrittura del fratello che per ora, ma ho letto solo "La famiglia Moskat", mi è più congeniale.
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