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Il quinto figlio
 
Il quinto figlio 2015-03-15 21:28:58 Mario Inisi
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    15 Marzo, 2015
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La grande famiglia

Questo romanzo di Doris Lessing, premio Nobel della letteratura, l’ho letto d’un fiato con la sensazione strana e inquietante che Doris l’avesse scritto proprio per me. Ci ho trovato tante e tali somiglianze con la mia vita, dall’inizio l’incontro tra i due futuri coniugi Lovatt a una festa in cui nessuno dei due voleva ballare, all’idea della famiglia numerosa e aperta che mi hanno lasciato senza parole. E mi ha colpito anche la inevitabile conclusione che Doris ha dato alla storia riscrivendola una seconda volta. “Hai barato”, si è detta dopo la prima stesura troppo buonista. La coppia che ha sfidato il destino deve essere condannata perché nessuno è felice a questo mondo.

“Questa è una punizione”, disse a David.
“E per cosa?” chiese lui sulla difensiva, perché la voce di Harriet aveva preso un’inflessione che detestava.
“Per aver voluto troppo. Per aver pensato di essere felici. Felici perché l’avevamo deciso.”
“Sciocchezze,” le disse. Era in collera. In collera con Harriet che gli parlava così. “E’ stato un caso. Sarebbe potuto capitare a chiunque. Ben è il prodotto di un gene sbagliato.”
“Non credo,” insistè le testarda. “Siamo stati noi, con le nostre pretese di essere felici! Nessuno è felice, nessuno di quelli che ho conosciuto, almeno, ma noi avevamo deciso di esserlo. E siamo stati colpiti dal fulmine.”
“Piantala Harriet! Non capisci dove portano questi pensieri? Ai pogrom e alla punizione divina, ai roghi delle streghe e all’esistenza di un Dio vendicativo!”. Stava quasi urlando.
“E ai capri espiatori”, proseguì Harriet. “Non dimenticare i capri espiatori.”

La casa di Harriet e David all’inizio piena di gente e di allegria pian piano si svuota. I due vengono guardati sempre con maggiore sospetto. I discorsi su di loro da benevoli si fanno velenosi.
La causa della generale condanna nel caso del romanzo è il quinto figlio “Ben”, un alieno, un mostro, uno che non è parte della famiglia e viene guardato con così tanto sospetto e apprensione da far scappare tutti i “veri” figli. Harriet pur non amandolo e sentendolo estraneo, non può abbandonarlo, quindi viene risucchiata dalla cura di questo “mostro” rispetto al quale la bambina Down della sorella, gioiosa e piena di amore per tutti, si rivela come un dono del cielo. David e Harriet si ritrovano in casa soli con Ben e con i suoi amici delinquenti. Pianificano di vendere la casa e di andare a vivere in un’altra più piccola, solo loro, dalla quale guardare alla TV (che all’inizio della loro vita famigliare non accendevano mai) cercandolo in mezzo ai reportage dei TG su disordini e rapine il viso di Ben, diverso da tutti gli altri, con gli opachi occhi gialli, anafettivi e inespressivi.
Alla fine i due coniugi diventano quello che non avrebbero mai voluto essere.

Era come se la fatica di vivere le avesse strappato uno strato di carne,non vera carne, forse, piuttosto una sostanza metafisica invisibile e insospettabile finchè non se ne era notata la mancanza. E David, a forza di lavorare, aveva perso quella sua caratteristica di uomo di famiglia.

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Commenti

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Ciao Mario. Il tuo commento è molto bello. Anche a me il libro è piaciuto.
Lessing è veramente brava a bilanciare i margini di ambiguità fra l'eventuale carenza 'genetica' di Ben e il vissuto psicologico della madre che intravede patologie inesistenti. Fatto sta che fin dalla gravidanza questo figlio che scalcia nell'utero non viene accettato. Così successivamente, nonostante la buona volontà razonale della donna. Sappiamo che la capacità di amare incondizionatamente riguarda la sfera affettiva, che la ragione può condizionare ben poco. Questo bambino insolito non rientrava nell'ideale materno della famiglia idealizzata : è la realtà reale che occorre accettare, non quella 'ideale'.
Ho saputo che esiste la continuazione di questa vicenda in "Ben nel mondo".
Quanta tristezza, ma quanta verità in questo romanzo che hai commentato con tanta sensibilità.
Eppure quella sensazione che il libro fosse scritto proprio per me l'ho provata anche io leggendo "Il diario di Jane Sommer"...
Penso che anche questo possa piacermi.
Ciao
Credere a te Mario, credere a Cristina... un bel dilemma! Per come sono fatto io, mi leggo il libro e mi faccio una convinzione personale. Comunque sia, sapere che ti ci sei ritrovato è uno stimolo a conoscere questa tua biografia traslata... :-)
b
Il romanzo è molto bello. Anche io ho iniziato il diario di Jane. Questa autrice ha un modo di usare le parole che potrebbe infastidire dando una falsa impressione di superficialità. Molto falsa, credo sia il suo modo di mascherarsi. La seconda parte non sapevo che ci fosse. Sarà per una futura ondata di acquisti.
Molto interessante il tuo punto di vista, soprattutto quando parli di superficialità apparente. Ho letto il libro colpita dalle recensioni positive di questo sito, e ho dovuto rileggere la mia recensione/stroncatura per ricordare le mie motivazioni. A questo punto sono curiosa del parere di Bruno :-)
Sì anche io. Doris ha in effetti questo stile falso-frivolo, un po' snob, elegante che potrebbe dar fastidio. Ad esempio l'uso in questo romanzo della parola" mongoloide" in alcuni dialoghi riferendosi alla bambina Down.
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