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Miseria e nobiltà... d'animo
"Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustato. Si chiamava Svevo Bandini ed abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Ci aveva pensato proprio mentre infilava il cartone nelle scarpe."
Chi è Svevo Bandini? Un muratore, di origini abruzzesi emigrato in Colorado, tra americani "purosangue", padre di 3 figli e sposato con Maria, una moglie "con grandi occhi neri, follemente accesi dall'amore, occhi maliziosi, capaci di spiargli in bocca, nelle orecchie, nello stomaco e nelle saccocce.. che occhi, per una moglie!
Vedevano tutto ciò che era e che sperava di essere, ma non vedevano mai la sua anima."
Il maggiore dei tre figli, Arturo, è quello che più assomiglia al padre nel temperamento, accomunati entrambi dal desiderio impetuoso di dare una svolta alla loro vita, l'impaziente attesa di quel giorno che non sarà più identico ai precedenti ma migliore, il giorno in cui anche loro potranno godere delle piccole gioie della vita sinora negate da un destino di povertà e privazioni che sembra voler accanirsi contro loro.
Questa è la tanto attesa primavera per i Bandini, così come lo è per tutti noi.. perchè tutti, chi più chi meno, attendono la propria primavera, quando il calore del sole interromperà la triste monotonia dei giorni più freddi e nevosi in cui lo sconforto, la rassegnazione e le difficoltà della vita sembrano allontanare drasticamente ogni possibilità di riscatto, di cambiamento.
Ma la primavera prima o poi arriva, bisogna solo saper aspettare.
Un romanzo positivo, quindi, seppur calato nella tragicità di un contesto familiare fragile in quanto duramente minato nelle fondamenta dai colpi di un'esasperante povertà.
Ed è mirabile la capacità di John Fante nel raccontarci l'inverno della famiglia Bandini, attraverso i pensieri e le tribolazioni dei singoli componenti della famiglia, tratteggiati in modo superlativo, senza alcuna manipolazione 'stilistica'; i loro sentimenti, la loro rabbia, le loro azioni sono estremamente realistiche, umane.
E personalmente non ho potuto fare a meno di affezionarmi ad Arturo, il figlio maggiore... sarà perchè anche io come lui ho frequentato la scuola elementare dalle suore, non c'era suor Celia dall'occhio vitreo ma c'era suor Giovanna dalle sberle d'acciaio; anche io soffrivo per le incomprensioni tra mio padre e mia madre, patteggiando ora per uno ed ora per l'altra con l'unico desiderio che non s'allontanassero; anche io ero innamorato follemente di una mia compagna di classe, Rosa anche lei, che il destino - complice la mia timidezza ed uno stronzo di nome Stefano - mi ha portato via; ed anche io ero fermamente convinto di potermi guadagnare, non dico il Paradiso, ma almeno un posto d'onore nel Purgatorio purificando la mia anima con la confessione almeno una volta al giorno, pure due nei periodi di tempesta ormonale (tanto che Don vincenzo era diventato ormai come un barista per me: 'Quali peccati vuoi confessare oggi?' - mi chiedeva - ed io: 'Il solito.. don Vincenzo, il solito.').
"L'adulterio. Non se ne parlava in quarta elementare durante il catechismo. Suor Mary Anna l'aveva saltato per soffermarsi a lungo su 'Onora il padre e la madre' e 'Non rubare'. Così era accaduto che, per qualche inesplicabile ragione, Arturo aveva sempre associato l'adulterio alla rapina in banca. Tra gli otto ed i dieci anni, quando faceva l'esame di coscienza prima di confessarsi, saltava sempre quel 'Non desiderare la donna d'altri' perchè non aveva mai rapinato una banca."
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