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Vite spezzate.
Quando poco prima di mezzanotte Simon Limbres, Christophe Alba e Johan Rocher avevano concordato di incontrarsi per surfare la mattina successiva, non avevano fatto altro che lasciarsi trasportare dall’opportunità di poter cavalcare le onde giuste, dinanzi ai loro occhi si apriva l’occasione perfetta, una sessione a metà marea come se ne contano due o tre l’anno – mare grosso, onda giusta, vento debole e neanche un cane in giro – ma mai si sarebbero aspettati che una semplice uscita tra amici si potesse tramutare in tragedia. E’ domenica e sono circa le sei del mattino, se non fosse stato per questo evento inconsueto nessuno dei giovani si sarebbe mai alzato così presto in un giorno di riposo, ma la tentazione era in agguato e così eccoli a bordo del loro van (pulmino), ancora assonnati, forse, ma pronti alla grande impresa. Tutto apparentemente è perfetto, le onde sono magnifiche e loro sono i capitani indiscussi di quel tratto di Oceano, nessuno può fermarli, alcuno può comprendere la loro euforia. Giunti al termine dell’epico momento, il rientro a casa. Il freddo? Il sonno? Non si sa, fatto sta che il caro vecchio van del padre di Chris non arriverà mai a destinazione. I primi soccorsi sopraggiungeranno alle 09.20 del mattino e i tre surfisti verranno trasportati d’urgenza al pronto soccorso più vicino.
E mentre per Chris e Johan le ferite si risolvono in contusioni all’anca, fratture e rotture di ossa, per Simon la sorte ha riservato ben altro. Era lui il passeggero al centro del pulmino, si è giocato la cintura di sicurezza con la ragazza – Chris era al volante dunque gli spettava di diritto – ed ora giace su quel lettino, la diagnosi è chiara ed inequivocabile: coma dépassé ovvero coma profondo, le sue lesioni sono irreversibili. Révol, il medico che si è occupato del caso non ha altro che questa sentenza irrevocabile per Marianne la madre del giovane, altra alternativa non sarà auspicabile nemmeno successivamente all’arrivo di Sean, il padre. Quando nel Reparto di Rianimazione un paziente si presenta con quella che è chiamata “morte celebrale” non vi è che quell’alternativa, comporre quel numero a cui risponde Thomas Rémige – l’infermiere coordinatore – ed avviare la procedura prevista dalla legge per il prelievo di organi e tessuti.
Tra pause e accelerazioni le ore scorrono inesorabili per questa famiglia avvolta nel calvario della perdita del proprio figlio di soli 19 anni ma sono tempi spietati anche per la stessa equipe che si trova a dover porre in essere l’operazione. Almeno il cuore, l’obiettivo è riuscire a salvare perlomeno questo vitale organo sinonimo, simbolo e sede di vita.
Con questo romanzo Maylis de Kerangal spinge il lettore al limite. In sole 24 ore – arco temporale in cui il componimento si articola – egli vive lo stordimento, la sofferenza atroce, la rinascita di una vita, la perdita di un ragazzo che non desiderava altro che assaporare la sua giovinezza. Un testo intenso, crudo, che nulla risparmia.
La difficoltà che personalmente ho incontrato l’ho riscontrata nella scrittura adottata, forse volutamente, dall’autrice in quanto le parole vengono snocciolate come caramelle, un fiume in piena, una cascata che ti cade sulle spalle per ripercorrere un passo dopo l’altro la tragicità degli avvenimenti. E se da un lato questo fiume in piena di pensieri, vocaboli, eventi rende alla perfezione lo stato d’animo di chi si trova a dover affrontare situazioni ai confini dell’umanamente sostenibile, perché mai e poi mai un genitore e generalmente un uomo dovrebbe trovarsi a dover scegliere cosa fare degli organi di un prossimo congiunto o semplicemente di un altro individuo e/o a decidere di una vita spezzata, dall’altro è fuorviante per il lettore che seppur trasportato dai fatti narrati e appassionato da una tematica così pregnante ne resta confuso, ha difficoltà a seguire le circostanze che si susseguono. Altro dettaglio che ahimé mi trovo a dover contestare è la punteggiatura. I simboli canonici utilizzati per indicare l’inizio ed il termine di un dialogo sono pressoché assenti tanto che talvolta è facile perdersi in questo flusso ininterrotto di pensieri, ricordi e dolore.
Resta un libro intenso, capace di commuovere e rispecchiare la realtà.
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Mi è sinceramente dispiaciuto per la nota dissonante della talvolta farraginosa scrittura, le potenzialità le ha tutte ed è un peccato dover a tratti faticare tanto per tenere le fila del discorso. Comunque, bel libro.
Grazie di aver letto le mie parole :-)
Scusami la digressione, ritorno al pensiero iniziale. In realtà la storia mi sembra poi non scavare fino in fondo in questa "possibilità" (il riparare,la vita, propria o altrui)... e a ciò mi induce anche il tuo voto sulla piacevolezza, non altissimo. A meno che non abbia equivocato io.
Tornando al componimento, quello che è successo non ha nulla di che straordinario da un lato ma alquanto di deludente dall’altro. Non hai ASSOLUTAMENTE EQUIVOCATO, anzi, hai centrato il punto. Il romanzo non scava, il romanzo si “”limita”” a raccontare 36 ore circa in ospedale. Si sofferma sullo stordimento di questa madre, di questa famiglia spezzata a metà, sull’equipe medica (anche canterina in taluni casi) che si trova a dover porre in essere l’operazione, sulla decisione che devono prendere e sull’impianto di quel cuore simbolo di vita e sentimento. Ma li si ferma. Non cerca di interrogarsi sul riparare, sulle conseguenze, sul dramma che si apre. Senza poi considerare le digressioni linguistiche dell’autrice che mettono seriamente a dura prova il lettore. Per dire il più semplice dei concetti, ci gira intorno, propina 30, 40 intermezzi, considerazioni e ricordi tanto che il lettore è costretto a rileggere le frasi perché perde più e più volte il filo del discorso. Empaticamente comprendo ciò che la scrittrice voleva trasmettere anche perché avendo una non indifferente familiarità e frequentazione degli ospedali conosco quel “senso di stordimento”, ed appunto però ho ben chiaro anche quel che viene dopo questa iniziale fase. Da li il voto sulla piacevolezza. La storia è buona e intensa, in tal senso merita di essere letta ma con le dovute “precauzioni”.
Grazie del complimento, è un onore sapere che le mie recensioni hanno questo effetto, non sai quanto. :-)
Nel mio libro non c'è il dilemma della scelta di acconsentire alla donazione da parte dei congiunti, perché questa opzione è già stata comunicata in vita dal donatore. Non per questo sarà più facile accettarne la morte, che è sempre un distacco molto doloroso
"Congiunzioni divergenti", Ladolfi editore è presente su qlibri ed è stato recensito da Silvia.
http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/romanzi/congiunzioni-divergenti/
Mi piacerebbe molto conoscere il vostro parere...
Comunque, riguardo a "Riparare i viventi" hai perfettamente ragione, non ho visto la necessità di omettere i punti per 40 righe e farne un unico, ininterrotto paragrafo con parti di discorsi anche diversi separati solo dalle virgole. Per altri versi è un libro che ho apprezzato, ne farò presto una recensione.
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