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Il filosofo Dostoevskij
Erano anni che sfuggivo a Dostoevskij dicendo “Prima o poi lo leggerò” , un po’ per le rimembranze che avevo di quando stavo al liceo di “Delitto e castigo”, che al tempo consideri pesante (ora tutt’altro), un po’ perché non mi sentivo pronto (ritenevo e ritengo infatti che per capire a pieno ogni romanzo di Dostoevskij serva tempo e tranquillità, non è certo un autore che si possa leggere in metro). Poi mi sono avvicinato ai suoi libri un anno fa, infatti presi dalla libreria della mia ragazza “Memorie dal sottosuolo” che praticamente divorai e che ritengo necessario leggere per avere un’idea del pensiero filosofico dell’autore russo (libro tra l’altro stupendo). Così ora, finalmente, ho deciso di affrontare i vari romanzi del caro Fedor, uno dopo l’altro, e sono partito proprio da quello che al tempo non apprezzai, e logicamente mi ha totalmente stupito. Come detto infatti al liceo, vuoi perché era per “obblighi scolastici” vuoi perché magari ero più giovane, trovai il romanzo pesante e non lo finii. Ora credo che di questo libro l’unico peso sia quello fisico (500 pagine), perché per il resto si legge in un baleno, infatti l’ho letto in 6 giorni. La storia la sapete tutti credo, Raskolnikov è il protagonista, un giovane che ha appena abbandonato gli studi di legge e che vive in povertà nei bassifondi di San Pietroburgo. Un giorno, mosso da un’etica morale alquanto discutibile decide di assassinare una vecchia usuraia a cui era solito portare in pegno degli oggetti preziosi, perché a suo modo di vedere la vecchia era solo un danno per la società. Sorge però un problema, gli omicidi da uno diventano due, infatti mentre sta per uscire dalla casa della vittima Raskolnikov si imbatte nella sorella ed è quindi costretto ad uccidere anche lei. Da qui si sviluppa il fulcro della storia ed entrano in ballo diversi personaggi, ognuno dei quali meriterebbe un libro a parte. Si va dal fido amico Razumichin, ingenuo e generoso, al perfido Svidrigaijlov, cinico e viscido, passando per la premurosa madre Pulcherija, all’ambita sorella Dunja, all’astuto e prode Petrovic (che aveva capito tutto fin dall’inizio) per finire con l’amata Sofija, dopo Raskolnikov sicuramente il personaggio più importante. I personaggi sono la vera perla del romanzo, perché non sono dei semplici personaggi, sono delle idee. Lo vediamo anche dai molti monologhi interiori degli stessi, si pongono delle domande e si danno delle risposte quasi a spiegare la teoria che c’’è dietro. Emblematica è quella del protagonista, che afferma che nel mondo ci sono due categorie di uomini: quelli ordinari, obbligati a seguire/rispettare il bene e il male, e quelli straordinari, che prescindono da leggi morali e possono decidere loro cosa è bene e cosa è male. Vi ricorda qualcuno? Esatto, la teoria del Superuomo di Nietzsche, sempre presente in Dostoevskij, era infatti il fulcro del pensiero filosofico che stava dietro a “Memorie dal sottosuolo”, collegato ad un altro concetto fondamentale: il libero arbitrio. Questo concetto, legato ad altri altrettanti influenti (ci ho visto anche molto Marxismo nel delitto, uccidere chi si arricchisce personalmente a discapito del popolo) fa scattare nella testa di Raskolnikov la scintilla secondo la quale uccidere la vecchia sarebbe un bene per l’umanità. Nel corso del romanzo, il nostro Raskolnikov si ammala e lascia spazio a figure altrettanto importanti, come l’amata Sonija, della quale il protagonista è innamorato e non riesce a spiegarsi come uno spirito così candido e puro riesca a vivere in una tale miseria e vendere se stessa per riuscire a sfamare la madre e i fratelli. Torna tutto al libero arbitrio, Raskolnikov non riesce ad accettare ciò che sfugge dalla sua comprensione, addirittura arriva a pensare che Sonija sia pazza. Svidrigaijlov e Razumichin sono altri due personaggi degni di nota, il primo viscido, subdolo e spietato che non riesce ad ottenere quello che vuole (la mano di Dunja) e finisce per non sopportare il peso del rifiuto (e forse anche il fatto che sa chi è l’assasino della vecchia ma non può rivelarlo) e finisce per suicidarsi. Razumichin invece è più ingenuo ma anche più buono, forse infatti è l’unico vero amico che ha Raskolnikov, e finirà infatti per sposare e prendersi cura della sorella, il suo personaggio rappresenta la bontà e la generosità disinteressata. Tutto questo viaggio, psicologico più che fisico, finisce con la confessione di Raskolnikov , che ormai patisce sofferenze fisiche e mentali, dovute all’atto compiuto, che lo portano a stare male per lunghi periodi. Viene quindi condannato ai lavori forzati in Siberia, ma anche dopo la condanna non si pente dell’atto compiuto, è ancora convinto di aver agito per giusta causa. Solo quando, a contatto con gli altri detenuti, si accorgerà che quella gente è facile di esistere anche in condizioni di prigionia, allora capirà cos’è l’amore per la vita, ma ancora di più sarà l’amore di Sonija (che anche in Siberia continua a stargli vicino) che farà finalmente capire al protagonista che il fine ultimo della sua azione, la libertà, va a morire nel momento in cui lui stesso è il primo a non rispettare la libertà altrui, e quindi il diritto alla vita. L’amore vince tutto anche qui, concetto vecchio come il mondo (siamo nel 1866), anche se forse visto la mole di materiale filosofico che ci dà in quest’opera Dostoevskij può sembrare riduttivo, è però un elemento da non sottovalutare, infatti il protagonista è disposto a tutto pur di non perdere la sua amata Sofija, addirittura arriva a scontrarsi con il perfido Lugin che vuole accusarla di furto, ed è il motore di tutta la redenzione di Raskolnikov. Lo stile è fluido nonostante il linguaggio sia datato, la narrazione avviene al passatoi ed in terza persona. A volte possono risultare un po’ ostici i passaggi mentali e le riflessioni interiori che però meritano grande attenzione perché sono il centro nevralgico del romanzo. Nulla da dire, questo libro è un capolavoro, ma forse capolavoro è anche riduttivo.
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Laura
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