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LA CINA DI MO YAN
In un Paese attraversato da interminabili piantagioni di sorgo, nei campi alti e duri in cui brulicano anime di varie fattezze, estrazioni e provenienza - contadini, soldati, monaci, lebbrosi, amanti e portatori - si consumano le avventure del bandito Yu Zhan’ao e la distruzione, da parte dei giapponesi, di Gaomi, il villaggio sulle rive del fiume Moshui in cui vive la famiglia, la sua famiglia. Un villaggio isolato, una Macondo cinese in cui gli abitanti si identificano in quello che hanno, il loro bandito, e mai né con i comunisti né coi nazionalisti. Zhan’ao non è solo un bandito, un tagliagole, uno con le mani imbrattate di sangue: è anche un portatore, di quelli che portano a spalla le spose al cospetto del futuro marito. Ma il marito della bella Fenglian è un lebbroso, non la merita ed il cuore del bandito palpita per vendicarla, riscattarla da un destino triste uccidendo il marito e prendendola con sé, come compagna, fino a che le pallottole giapponesi non la lasceranno riversa, con gli occhi al cielo, nell’immensità vermiglia del sorgo. Da qui la sua storia prenderà pieghe sempre diverse in una Cina sempre in tumulto, fino ad arrivare sotto l’ombra tormentosa di Mao…
Mo Yan, in un romanzo epico e retrospettivo sviluppato in cinque libri come fossero cinque storie differenti, ripercorre romanzandola con una narrativa marqueziana, complessa e magica, la storia della propria famiglia - della nonna, del nonno e di suo padre - nella Cina al tempo del conflitto sino-giapponese fino alla rivoluzione culturale. I suoi avi si trasformano in personaggi mitici punteggiati da metafore fulminanti, da biografie fantastiche, da un’esistenza piena, ricca ed intensa. La modalità di scrittura pesca a piene mani da un registro simbolico tipicamente orientale, ma dando ai personaggi una vitalità anticonformista che rompe schemi e preconcetti. Ogni particolare è cesellato con cura, ogni dettaglio incastonato al punto giusto. Ci vuole poca fantasia per non rimanere succubi affascinati dal mondo che dipinge riga dopo riga; ci vuole una grande dose di indifferenza per non rimanere irretiti nelle vicende narrate così piene di scoppi, cariche di umanità, grondanti di una vita pulsante e accesa. Ci troviamo davanti ad una narrazione a zig zag nella quale i personaggi muoiono e resuscitano e dei quali sembra ci sia sempre un altro aneddoto da raccontare, un’altra storia da non ignorare, un altro tassello da aggiungere come in un mosaico in cui il particolare è esso stesso universale sullo sfondo rosso imperante delle piantagioni di sorgo.