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Al confine della vita
Pubblicato undici anni dalla fine del conflitto, raggiunse un successo di pubblico per il messaggio pacifista ma fu osteggiato da chi faceva leva sul diffuso malumore su cui si alimentarono il nazionalsocialismo in Germania e il fascismo in Italia.Dire che nel 1933 finì al rogo pare quasi superfluo.
E oggi? Che effetto fa , leggere oggi, quest’opera?
Il 24 maggio ricorrerà il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia e spesso ho pensato alla dialettica tra interventisti e neutralisti che animò il nostro contesto storico. Sapere quali ragioni ci portarono al conflitto non è di gran conforto. Visitare i luoghi che oggi sono sormontati da sacrari, campane della pace, lapidi siglate da cronologie troppo brevi, montagne dilaniate dalla presenza bellica, permette di toccare con mano.
Leggere l’esperienza dei nostri dalla penna di Lussu significa scoprire le drammatiche condizioni dei soldati-bambini, dei soldati-contadini, dei ragazzi del ’99 e dell’inefficienza siglata Italia.
Leggere Erich Maria Remarque significa elevarsi a una visione trans- frontaliera.
Siamo sul fronte occidentale non in quello italiano dell’altopiano di Asiago narrato da Lussu.
Se Lussu non si abbandona mai alla denuncia, Remarque invece scrive con l’ottica del reduce, di chi è consapevole che la guerra è stata solo un grande bluff.
Lui partito invasato dalle parole di un suo professore, lui volontario perde e perde tutto. Perde la sua gioventù, perde le sue certezze, perde la “concezione del mondo” che gli avevano insegnato; si mostra fortemente critico rispetto alla sua patria da subito e a maggior ragione dopo dieci anni. Il reduce fa sentire la sua voce e con essa quella di una generazione privata di sogni, bellezza, amore, futuro perché già schiacciata dai conflitti che la grande guerra non ha affatto risolto. Il reduce non ha futuro: chi torna sa già che tutto gli apparirà vuoto e desolante e l ’unica certezza sarà quella della guerra. “Crediamo alla guerra”, il resto è falsità. Gli uomini? “Povere scintille di vita”.
Racconta, descrive, non tralascia i particolari, non concordo con chi vi vede una prosa scarna, da stile giornalistico. Ho apprezzato una scrittura sincera, intrinsecamente commovente, a tratti poetica quando elevata a considerazioni sulla condizione umana. Il realismo è necessario per capire e ringrazio di aver potuto sapere ciò che non si racconta mai.
Mi ha aiutato a capire la drammatica universalità della condizione del soldato, mi ha ricordato quanto sia importante la pace, mi ha ricordato pure quanto siamo indifferenti alla sofferenza che accompagna i nostri giorni. Mi ha commosso e mi ha fatto arrabbiare. Conservo il ricordo di pagine indelebili .
Ne consiglio vivamente la lettura.
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Commenti
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la tua recensione mi è molto utile, Laura
Mi sembra chiaro quel che non dici espressamente eppure dici - o riporti di Remarque, a seconda di come vogliamo vederla - quando parli del reduce: la guerra è affermazione della cultura della morte, da cui non vi è possibilità di ritorno (non senza un prezzo, almeno).
A Rollo: il bellissimo finale che ho volutamente taciuto è proprio l'emblema di quel prezzo. Scusa se accenno e non dico, commento e utilizzo ovviamente la prospettiva dell'autore, dico ma non sempre in modo chiaro: l'intenzione è quella di rendere il libro senza snaturarlo (ma non so se ci riesco) e senza raccontarlo per invogliarne al massimo la lettura, quando mi è piaciuto...Me ne scuso ancora...è più forte di me.
Un saluto a tutti e buona giornata.
grazie per le parole...allora continuo così :-)
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