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Vita sregolata
“Nelle pagine seguenti racconterò la storia del mio amico, compagno d'armi e di idee, Franz Tunda”
così scrive nella premessa Joseph Roth.
In realtà questo stratagemma consente allo scrittore di distanziarsi dalla materia trattata, di dialogare con il suo personaggio e con la sua storia. Personaggio e storia che lo stesso Roth avrebbe riconosciuto riflettere “in gran parte” la sua stessa esistenza di nomade e l'implacabile destino del “disperso”, che sintetizza nel bellissimo titolo “Fuga senza fine”.
Franz Tunda, infatti, percorre la vita senza mai arrestarsi, in una fuga continua. Tenente dell'esercito austriaco nella grande guerra, fatto prigioniero dai russi nell'agosto del 1916, riesce a fuggire e si rifugia in un solitario, triste casolare in Siberia, ai margini di una foresta, fino al 1919. Quando scopre che la guerra è finita, parte, attraversa la Siberia, arriva in Ucraina, nei pressi di Kiev, viene preso dapprima come spia bolscevica, diventa poi rivoluzionario, crede di innamorarsi, finisce sul Mar Nero a Baku, fino a ritornare nell'impero che non c'è più, in una città sul Reno, poi a Berlino e infine a Parigi...
E' un romanzo veloce, che attraversa un'epoca turbinosa come un fulmine: dalla rivoluzione russa, vista con gli occhi della lontananza, alla crisi non solo dell'impero asburgico, ma dell'antica cultura europea. Nel dialogo con il fratello, direttore d'orchestra di successo, sacerdote dell'arte, come egli lo definisce, Tunda mostra i mille buchi che sostituiscono nella vita quotidiana una cultura borghese ammuffita: i Buddha, i cuscini, i larghi e profondi divani, i tappetti orientali, le danze negre...
Joseph Roth ha una scrittura sintetica e asciutta, riflessiva e, a volte, potentemente satirica. I personaggi preferisce generalmente descriverli, non farli nascere attraverso i fatti. Si veda il bellissimo ritratto fisico-psicologico della rivoluzionaria ucraina, Natasa. La descrizione dettagliata che Roth fa del volto della ragazza rivela pure l'ideologia, di cui è, incosapevolmente, imbevuta: ella nega, infatti, la sua bellezza, sfida i maschi con il suo coraggio, deride i valori borghesi, ma sceglie Tunda, perché borghese, senza accorgersi neppure dell'amore degli altri uomini che, invece, la venerano: marinai, operai, contadini senza istruzione e innocenti come animali.
E' un romanzo intenso. Un'intensità tenuta a distanza e quasi nascosta dal succedersi vorticoso dei fatti, che poi, delusione dopo delusione, si fa intima, disperata “in una storia”, come scrive Alfredo Giuliani, “di una progressiva spoliazione”. Franz Tunda vive, infatti, senza mai scegliere, lasciandosi trasportare dai fatti e dagli incontri: la fidanzata, la guerra, la fuga e la perdita di identità, la rivoluzione che diventa prassi burocratica, “disciplina senza sentimento”, le donne con le quali non scatta mai una scintilla vera e profonda, l'alta borghesia intellettuale e aristocratica reazionaria, senza sapere di esserlo, piena di pregiudizi e di certezze, che vive senza sapere di essere morta. “A volte apparivano a Tunda come dei vermi, il mondo era la loro bara, ma nella bara non c'era nessuno”.
E' qui, nel finale, che “Fuga senza fine” diventa affascinante, il fascino di una indifesa, dolente nudità. Franz Tunda, uomo libero e dalle esperienze estreme (le notti rosse, il bianco intenso infinito del ghiaccio siberiano, il silenzio minaccioso delle foreste, la fame lancinante) viene trovato da Joseph Roth “sano e vivace, un uomo giovane e forte, dai molti talenti, nella piazza davanti alla Madeleine, nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo. Superfluo come lui non c'era nessuno al mondo”.
Non ci sono speranze, non c'è accettazione. Rimane solo la nudità dell'essere tuttavia libero, non gregario di qualcuno.
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Laura