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La gioventù lasciata alle spalle
“Sembrava avesse quattordici anni e che andasse per un'età che non era mai esistita. Sembrava che fosse stato sempre seduto in quel posto e che Dio gli avesse creato intorno gli alberi e le rocce. Assomigliava alla propria reincarnazione e poi alla reincarnazione della propria reincarnazione. Soprattutto sembrava preso da un'enorme tristezza. Come se si portasse dentro la notizia di una perdita orrenda di cui nessun altro aveva ancora sentito parlare. Un'enorme tragedia non relativa a un fatto, incidente o evento, ma alla natura stessa del mondo.”
Al centro delle storie di Cormac McCarthy c'è sempre una iniziazione. Il confine non è tanto fisico – quello che divide gli Stati Uniti dal Messico – ma esistenziale: la linea che separa la larva dalla farfalla, la ragazza e il ragazzo dalla donna e dall'uomo.
Ed è una trasformazione dura: fatta di disillusione, di dolore, a volte di sangue. Perché in un piccolo paese vicino alla frontiera, il mondo è una realtà essenziale, quasi povera: l'uomo si riduce ad istinti primitivi. E' ordinario l'uso della forza, la violenza, sopraffare il più debole. Non è questione di malvagità, di pura cattiveria (questo in McCarthy è chiarissimo): è semplicemente l'immagine dell'uomo così com'è, senza sovrastrutture o fronzoli. Persino la vendetta: non è un piatto da gustare freddo ma solo la giusta via per far ritornare la bilancia in pareggio.
In una realtà del genere è necessario crescere in fretta, trovare il proprio ruolo nella gerarchia delle forze e mostrare agli altri ciò che si è.
Billy Parham ha 17 anni mentre, in sella al suo cavallo, segue il padre che dissemina tagliole nella prateria e le nasconde. Il lupo che sta decimando il bestiame di quelle zone, però, sembra abilissimo a farle scattare senza restarne imprigionato.
Anche Billy impara a preparare le tagliole, e quando ci trova dentro l'animale che il padre sta disperatamente cacciando – in realtà una lupa gravida con la zampa scarnificata dalla presa metallica – ha un'intuizione che realizza in un attimo: la rende inerme, le fascia l'arto e si avvia a riportarla da dove è venuta, oltre il confine tra il New Mexico (Stati Uniti) e il Messico.
La prima parte (su quattro) del libro è dedicata al viaggio di questo singolare trio: un ragazzo, un cavallo, una lupa gravida.
Ma, proprio quando il lettore comincia a temere che questa vicenda possa assorbire l'intero libro (sarebbe un po' troppo, in effetti), tutto cambia: l'incontro con una comunità porterà Billy a maturare una scelta difficilissima, un proposito doloroso da attuare, come accade ogni volta in cui, per crescere, bisogna prima rinnegare ciò che si è.
Quando Billy, dopo essere tornato a casa, varcherà ancora il confine verso il Messico – stavolta insieme al fratello Boyd, quattordicenne – sarà già un'altra storia...
I libri di McCarthy sono senza dubbio “estremi”, ma al contempo belli da leggere perché di grande respiro.
“Oltre il confine” si pone sulla falsariga di “Cavalli selvaggi” (il libro d'esordio dello scrittore) ma ne resta al di sotto per alcuni motivi: il primo è l'imperfetta sovrapposizione tra vicende diverse, due in particolare, che non paiono “saldarsi” sempre al meglio. Il secondo riguarda il dialogo tra i due ragazzi, entrambi minorenni: spesso, in McCarthy, è l'adulto a dialogare con il giovane, insegnandogli a spendere poche parole (ma anche a tacere quando si deve); nel riprodurre il medesimo schema tra due ragazzi – ritenendo di far risaltare in tal modo la loro precoce maturità – si rischia seriamente l'inverosimiglianza, soprattutto quando si parla di due fratelli.
Qualunque imperfezione non può comunque far dubitare dello straordinario senso dell'epica che trabocca dalle storie di McCarthy, e ancor più dalle sue “storie nelle storie”. Due quelle che vengono raccontate al giovane Billy nel suo peregrinare: la prima riguarda un vecchio e il suo scontro eterno con la religiosità (alla quale oppone, in fin dei conti, la propria religiosità); la seconda racconta di un uomo accecato durante la guerra combattuta lontano da casa, del cammino intrapreso per tornarvi, e infine del senso della vita, come compreso attraverso il “buio”.
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è un autore che voglio approfondire, quindi leggerti è per me prezioso
Dell'autore conosco solo "La strada", libro bello, ma per me poco avvincente. Mi pare che sul testo commentato la tua valutazione non sia migliore. Si tratta di un autore sopravvalutato ? Oppure 'di nicchia' ?
è un libro di cui ho consigliato la lettura (sinora, con McCarthy, non mi è mai accaduto il contrario). Fermo restando che è un libro piuttosto "al maschile" (ma non è detto che non piaccia alle lettrici), magari qualcuno potrebbe vedere in ciò che a me ha lasciato perplesso - un certo "disordine" nell'assemblare le vicende trattate - addirittura un punto a favore: voglio dire che qualcuno potrebbe leggerlo come un "Sulla strada" (Kerouac) in versione western... ed allora la soddisfazione sarebbe garantita. Valutate voi.
Per Emilio:
non ritengo sia un autore sopravvalutato (con "La strada", che a me è piaciuto immensamente, ha pur sempre vinto un premio "Pulitzer"... che non è esattamente lo Strega, per fare solo un nome di premio "all'italiana"). Però è certo che non è neanche un autore "immediato". Ricordando un po' le letture che preferisci (non finirò mai di ringraziarti per avermi indicato "Il giuoco delle perle di vetro" di Hesse), sinceramente credo che difficilmente McCarthy possa essere nelle tue corde... A maggior ragione se "La strada" non ti ha impressionato granché.
Per Valerio:
non restarci male :) Ognuno ha le sue preferenze. McCarthy è di certo un autore consacrato (i libri che sto leggendo hanno un'entusiasta prefazione di Baricco: non il mio autore preferito, ma certo una buona "referenza"). Prima o poi leggerò anche "Suttree": promesso! :)
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