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Los Angeles è lontana
Chiedi alla polvere è il secondo libro che leggo di Fante, ed è la seconda volta che questo celebrato autore non mi convince. Già in La confraternita del Chianti avevo trovato un po’ troppi luoghi comuni sugli italiani, anche se la figura del protagonista aveva una sua tragica grandezza.
In questo, che dovrebbe essere il suo capolavoro, ho trovato tutti gli ingredienti dell’America metropolitana del XX secolo, le sue grandi solitudini, le storie di emarginazione, l’alcool, le droghe e il sogno di farcela, conditi in una salsa un po’ insipida.
Quello che potrebbe essere un grande personaggio, Arturo Bandini, da associare al kerouachiano Sal Paradise, come lui artista disadattato, in realtà non ne ha l’epica grandezza, e questo a mio avviso, perché manca in Fante la capacità di scavare realmente nei meandri della società statunitense, nelle sue contraddizioni, la capacità di narrare una storia che cammini veramente per le strade di Los Angeles. Quello che in Kerouac è l’elemento essenziale del racconto, il paesaggio urbano e rurale degli States, che inevitabilmente ci fornisce i tipi umani che ne fanno parte, in Fante è solo lo sfondo opaco della contraddittoria vicenda esistenziale di Bandini, del suo essere incapace di stabilire un legame stabile con Camilla, il grande amore della sua vita.
Fante cerca per tutto il libro di immergere i suoi personaggi nel contesto della Los Angeles dalle mille facce, ma questa resta lontana, assumendo una patina oleografica e scontata che non giova alla credibilità della narrazione. Bandini, secondo me, non è un vero figlio di quell’America, non è stato distillato da quella polvere, ma è un prodotto non poco artefatto. Il suo rapporto con la città e con la società americana è asettico e financo asfittico: la sua storia d’amore con Camilla non ha e non può avere la forza dirompente dei viaggi di Sal, perché lui è solo un rappresentante della middle-class temporaneamente senza soldi, la cui vera aspirazione è farli (i soldi) per cambiare vita.
Infatti alla fine ci riesce, e nel bel finale emerge la diversità del suo destino, ormai incanalato verso la sicurezza economica e sociale, da quello di Camilla, che se ne va chissà dove. E’ sintomatico che Arturo, rinunciando a cercarla, affidi il suo messaggio d’amore al suo libro, allo strumento che gli sta dando la certezza del successo.
Il libro certo non manca di momenti alti, e soprattutto il finale, come detto, lo riscatta. Resta tuttavia l’impressione dell’uso forzato di un’atmosfera per raccontare qualcosa che potrebbe essere ambientato altrove. Resta l’impressione che il libro potrebbe aprirsi con “… Mentre su Bunker Hill calavano le prime ombre della sera…”