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Il punto fermo
Bijou è la storia di un abbandono, di madri che non sono in grado di svolgere il loro ruolo, di bambine sole alla ricerca di un punto di riferimento, in un pellegrinaggio tra le strade di Parigi che è un riflesso della loro inquietudine e dalla loro mancanza di un porto sicuro.
Bijou ripercorre la sua infanzia, le strade, le vie, i ricordi cercando anche lavoro presso una famiglia che assomiglia moltissimo alla sua: madre ballerina e figlia che deve badare a se stessa in qualche modo, che deve abituarsi alla solitudine. I ricordi di Bijou sono mescolati anche a un senso di rabbia che non è mai troppo esplicita ma la si può intuire da alcuni particolari, primo tra tutti i nomignoli non troppo affettuosi con cui è indicata la madre di Bijou: la Crucca, Trompe la mort. All'inizio del romanzo Bijou incontra e crede di riconoscere la madre che credeva morta, ma non bussa alla porta della sua stanza. Ora è la madre che è sola e bisognosa di una figlia. Ma Bijou vuole essere figlia e non madre di sua madre. Ha la necessità di essere protetta da una madre. Incontra una donna dolce, la farmacista, che si prende cura di lei: incontro strano per la differenza d'età tra le due non così grande e per l'età della ragazza: più di vent'anni. Bijou non riesce nemmeno a occuparsi della bambina che si trova nella sua situazione di un tempo, a cui fa da baby sitter. Sta troppo male per esserle di aiuto. Questa sua dichiarazione è terribile. Come può non esserle d'aiuto, dopo quello che ha passato un tempo?
Tutto il libro è incentrato su Bijou, anche la bambina trascurata ha un ruolo soprattutto terapeutico, le fa rivivere e superare gli insopportabili ricordi, fino alla bellissima scena finale, dove Bijou si ritrova tra le teche dei neonati, come un pesce, come un neonato, all'inizio di una nuova vita. L'atmosfera di inquietudine, tristezza, mal di vivere è la cosa che colpisce del romanzo.
Tutto quello che di solito mi spaventava , mettendomi a disagio e facendomi credere che dall'infanzia in poi non mi ero più potuta sottrarre alla cattiva sorte, tutto quanto svaniva, all'improvviso. Un musicista dai sottili baffi impomatati percuoteva con le sue bacchette i tasti in legno di uno xilofono.
E immaginavo la scena del Neant illuminato dalla luce bianca di un riflettore. Un tipo in uniforme da postiglione faceva schioccare la frusta e annunciava con voce sorda:"E ora signore e signori, ecco a voi, Trompe la mort!"
La luce si abbassava. E all'improvviso, al centro del fascio di luce del riflettore, compariva la donna dal cappotto giallo così come l'avevo vista sul metrò. Camminava lentamente verso il proscenio. Il tipo con i baffi impomatati continuava a suonare lo strumento con le sue bacchette. Lei salutava il pubblico con le braccia alzate. Ma non c'era pubblico. Soltanto qualcuno immobile e imbalsamato attorno ai tavoli.
Anche in questo romanzo bisogna pazientare per la prima metà del libro perchè la bellezza del testo si sprigiona soprattutto nella seconda metà.
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Il libro mi è piaciuto molto, fra i più belli letti di Modiano.
Vedo che ti stai dedicando a questo autore.
Bravo
Saluti
Riccardo