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Quel che la morte invidia della vita
Ci sono parole che sentiamo nostre nel preciso istante in cui le ascoltiamo o le leggiamo. Tra le pagine de “Le intermittenze della morte” Saramago ci mostra buona parte delle parole che ormai aveva fatto sue, inglobandole nelle sue convinzioni, idee, speranze e paure. E non è difficile da credere che in un uomo che purtroppo sarebbe morto cinque anni dopo la pubblicazione di quest’opera, i pensieri siano attanagliati dall’idea della morte in tutte le sue sfaccettature. In uno stile semplice, efficace e pregno di sarcasmo e ironia, ci rende note le sue paure con una storia piacevole e surreale, paure che in fin dei conti sono quelle di tutti gli esseri umani.
La morte aveva smesso di arrivare, così, all’improvviso. Inutile dire che nemmeno la prospettiva dell’eternità cancella i difetti dell’uomo; questi sono qualcosa che ci tiriamo addosso da tempo indefinibile. Alla scomparsa della morte c’è chi se ne lamenta, come se lamentarsi sia un dovere inderogabile dell’uomo di fronte a qualsivoglia cambiamento, anche positivo. C’è chi se ne dispera perché della morte, come quasi ogni cosa, se ne era fatto un business, ignorando come la sua scomparsa sia in realtà la cosa che più desideriamo da quando siamo al mondo. C’è chi impara a lucrare anche sulla scomparsa della morte e c’è chi pensa alle conseguenze. Paradossalmente pare che nessuno gioisca della sua dipartita, nessuno si accorge della bellezza di vivere per sempre se non quando questa gli viene portata via nuovamente. Certe cose si apprezzano soltanto quando le si perde. La morte torna al suo lavoro di sempre ma stavolta, non busserà alla porta di ogni uomo che è giunto al capolinea senza aver spedito una lettera di preavviso sette giorni prima della morte effettiva. C’è un uomo però che rappresenta un po’ la voglia globale e stranamente celata di non voler morire. Inconsciamente rispedisce la sua lettera di morte al mittente, non si sa come, e lo fa una, due, tre, quattro volte, tanto da spingere la morte a bussare alla sua porta. Probabilmente è proprio il desiderio di continuare a vivere a respingere la lettera, senza che il suo proprietario se ne accorga. Siamo attaccati tantissimo alla vita ed è oltremodo evidente che lo era anche Saramago. Lo si capisce da ogni parola scritta in queste pagine, pregne di una disperata voglia di vivere, di sopravvivere alla morte. La speranza che ci accomuna tutti e che conserviamo gelosamente seppur siamo consapevoli sia impossibile, quella speranza che la morte si dimentichi di noi o ci ritenga meritevoli di non abbandonare questa vita che spesso disprezziamo, ma che in realtà amiamo profondamente, come la amava Saramago.
“[…] signor direttore della televisione nazionale, non mi resta che chiederle di fare giungere oggi stesso a tutte le case del paese questo mio messaggio autografo, che firmo con il nome con cui generalmente mi si conosce, morte.”
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Ferruccio