Dettagli Recensione
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Due più due fa quattro?
“Sono un uomo malato... Sono un uomo cattivo. Un uomo che non ha nulla di attraente.”
Comincia così l’opera che segna la svolta artistica di Dostoevskij, da qui in poi orientato alla ricerca di una via di fuga per l’uomo dalla solitudine e dalla disperazione nell’amore e in Cristo.
L’opera si articola in due sezioni. Nella prima parte il protagonista ci presenta la sua condizione di uomo emarginato dalla società, verso cui nutre disprezzo e sospetto. Egli preferisce rifugiarsi nel “sottosuolo”, ovvero l’oscuro baratro della sua mente, che lo isola da una società tesa al progresso scientifico e alla matematizzazione della vita umana. L’intento era quello di schematizzare la natura dell’uomo attraverso la Ragione, rendendolo un essere paragonabile a un tasto di pianoforte, non libero ma mosso da un’universale mano invisibile. Ma l’uomo del sottosuolo sa che l’intima essenza dell’uomo non è la ragione, ma la volontà, concetto così strettamente legato alla libertà da risultare a tratti inspiegabile, ma non per questo rinnegabile. Il volere supera la razionalità, sconfinando nel contrasto interno all’uomo, che vede implodere e mescolarsi in sé impulsi talvolta rovinosi, ma pur sempre umani. Circoscrivere l’uomo in una tabella risulta pertanto ridicolo all’uomo del sottosuolo: “L'uomo è creatura frivola e disordinata e, forse, come il giocatore di scacchi, ama soltanto il processo del raggiungimento del fine, e non il fine in sé. E, chissà, forse tutto il fine a cui tende l'umanità sulla terra consiste solo in questa continuità del processo di raggiungimento, in altre parole nella vita stessa, e non propriamente nel fine, che, s'intende, dev'essere null'altro che il due più due quattro, cioè una formula, perché due più due quattro non è già più la vita, signori, ma l'inizio della morte.”
Attraverso le riflessioni del protagonista, si giunge così alla seconda parte, in cui l’uomo racconta, a titolo di esempio per quanto detto, eventi che emergono nella sua memoria a manifestare la sua inettitudine nei rapporti umani. Questa costante condizione subirà uno scossone dopo la notte con la prostituta Liza, la prima persona a mostrargli un sentimento, il che getterà il protagonista in profondo conflitto interno col desiderio di dominio, forma standard del suo modo di relazionarsi agli altri.
“..tutti noi siamo disavvezzi alla vita, tutti quanti zoppichiamo, chi più chi meno. Siamo a tal punto disavvezzi, che talvolta proviamo una specie di ripugnanza per la “vera vita”, e pertanto non possiamo neppure sopportare che ce ne parlino. Anzi, siamo arrivati a un punto tale che quasi quasi consideriamo l’autentica “vera vita” come una fatica, o addirittura come un lavoro, e dentro di noi siamo tutti convinti ch’è meglio di com’essa ci viene presentata nei libri. Ma perché ci agitiamo certe volte, perché facciamo i capricci, che cosa cerchiamo? Non lo sappiamo neppure noi. […] Ci è penoso perfino essere uomini, uomini con un corpo vero e proprio, col sangue nelle vene; ci vergogniamo di questo, lo consideriamo un’onta, e ci sforziamo in ogni modo d’incarnare un certo tipo di uomo universale che non è mai esistito. Noi siamo nati morti..”
Grazie a Liza, scoprirà che la vita descritta nei libri, la vita dell’amore, la vita in cui due più due non fa necessariamente quattro, può esistere anche nella realtà. Ma non è facile uscire dal sottosuolo.
Commenti
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |
Ordina
|
4 risultati - visualizzati 1 - 4 |