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L'INDIA SENZA CLICHE'
Questo libro è un turbinio dii emozioni, le sue storie tragiche e sincere entrano dentro come un pugno nello stomaco e fanno commuovere e riflettere.
Qui non ci sono storie stereotipate a lieto fine, non ci sono "salvatori" che fanno cambiare vita a esseri disgraziati, non ci sono poveri solidali fra loro. Ma come, non ci dicevano sempre che in India la perdita di una vita vale meno che in altri paesi per via della fede induista nella reincarnazione, non si sente dire che il povero vive come un "santo" della carità di altri e accetta con rassegnazione questo stato, non si sente dire che i poveri sono solidali fra loro e si aiutano a vicenda?
Ebbene, la scritrice ha vissuto per quattro anni in un vero slum indiano, Annawadi, e qui testimonia fatti e sentimenti di alcuni degli abitanti che ha personalmente conosciuto. I fatti sono documentati e i pensieri delle persone sono il risultato di lunghe interviste e conversazioni tra persone sfinite (raccoglitori di immondizie, ladri, inventori di sopravvivenza), molte delle quali, trascorrendo la maggior parte delle loro giornate in silenzio, avevano un linguaggio molto semplificato e gergato. Ma la grande Katherine Boo, con pazienza e perseveranza, è riuscita a fare una cronaca sincera delle loro esistenze, aiutata da un'interprete che le ha ha permesso di imparare a conoscere gli abitanti di Annawadi, e a loro di conoscere lei. E nelle pagine si sente, come se si potesse toccare, la realtà tangibile di una situazione nella quale ci si trova immersi senza averlo chiesto. Ci sono giovani che vedono negate le loro speranze di cambiamento, bambini soli che si ritrovano in strada dopo che l'orfanatrofio ha deciso che ormai sono troppo grandi per essere tenuti lì, agenti corrotti che si mettono d'accordo con i ladruncoli per spartire il bottino, politici in malafede che approfittano della paura dello sgombero per prendere i voti degli abitanti di Annawadi ma in realtà partecipano a progetti di "bonifica"...
Insomma, c'è tutto un mondo di miseria e depravazione in cui anche la semplice regola di "starsene da parte da tutto per non avere fastidi" ( seguita dal giovane mercante di rifiuti Abdul) non lo proteggerà dagli eventi imprevisti e sfortunati che lo coinvolgeranno. Io ho lettotutto d'un fiato le coinvolgenti storie dei protagonisti, alcuni mi pareva di vederli correre ed arrangiarsi con la paura negli occhi e la stanchezza nel corpo. Ho notato che certe situazioni, seppur qui veramente esplosive ed estreme, si stanno pericolosamente avvicinando anche al mondo occidentale: i lavoratori edili degli slum che aspettano, ogni mattina, che qualcuno li scelga per andare al lavoro, o le donne che cuciono trapunte e vengono retribuite a cottimo (pochissimo), o i ladri dell'Airport Road che, prima, erano facchini assunti regolarmente, poi sono stati licenziati per la modernizzazione dell'aeroporto... Un brivido mi coglieva ogni volta che si parlava di corruzione... Ogni volta che leggevo che, per le statistiche dell'India, gran parte degli abitanti di Annawadi risultano affrancati dalla povertà, anche se sputano liquido nero o vivono in baracche separate da un lenzuolo. Ho avuto un sussulto leggendo del cementificio che inquinava tutto sorto proprio a ridosso dello slum, che veniva però accettato come prezzo da pagare al progresso. La Boo ha voluto scrivere questo libro-reportage per capire come mai i luoghi ricchi come Airport Road, con i loro slum accanto a lussuosi hotel, non assomiglino di più a un videogame ribelle in cui i poveri si rivoltano contro, come mai le nostre società diseguali non implodino di più. E ha trovato la risposta nella pura consolazione psicologica che la gente addotta per un maggior controllo sull'esperienza. Gli abitanti dello slum non avevano piacere che lei attingesse ai loro brutti ricordi, veniva considerato controproducente. Ma alcuni accettavano di descrivere certe cose nella speranza, seppur debole, di favorire un sistema più giusto. Scelte coraggiose, considerata la vulnerabilità socioeconomica di che le faceva. Scelte che portano a capire che, anche se la vita è ingiusta, anche se è difficile, anche se è brutta... è pur sempre importante almeno per una persona: noi stessi.
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