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L’eterna luce di una lampada
Mentirei se dicessi che ho preso tra le mani questo libro indipendentemente dal Nobel che ha vinto il suo autore. Oserei dire invece che difficilmente lo avrei preso se non fosse stato per questo; il premio tanto ambito ha destato in me l’enorme curiosità di capire cosa si debba creare per meritarlo. Quel che mi sono trovato davanti è un romanzo certamente piacevole, dai buoni contenuti e con uno stile distinto e a tratti evocativo. Mentirei anche se dicessi che non ho letto di meglio, ma chi sono io per smentire l’Accademia?
Uno scrittore di nome Jean e cognome ignoto, trae spunto da un semplice taccuino per ricostruire determinati frangenti della sua vita. Vedrà materializzarsi sotto i propri occhi loschi figuri, una donna enigmatica che ama senza pretendere alcuna spiegazione e un sé stesso immerso in una Parigi pregna di angoli bui, popolati da cose e persone che a quel tempo ignorava. Nel tempo presente quelle tenebre appaiono rischiarate da una luce solare, ma ormai non ha più importanza. Il tempo diventa un’entità che sembra quasi non esistere, la vita si svolge in tutte le sue parti nello stesso momento e sotto i nostri occhi, e ci ritroviamo a incontrare persone sparite dalla nostra vita da tempo e versioni di noi stessi che hanno fatto altrettanto. Persone che non possono sentirci e delle quali conosciamo già la sorte senza avere il potere di cambiarla. Percorriamo il nostro sentiero lasciandoci alle spalle luoghi che nella nostra mente sembrano immersi in stagioni diverse in base alla bellezza del ricordo che le ha popolate, luoghi nei quali lasceremo la nostra traccia come una lampada accesa eternamente, la cui luce sembra gridare che noi siamo stati lì e che una parte di noi stessi ci rimarrà per sempre. Luoghi che possono prendere le sembianze di cuori, quelli delle persone che abbiamo amato e che forse non rincontreremo mai se non per la strada, rese vive dai nostri ricordi ma rese sorde dallo scorrere inesorabile del tempo.
“Anch’io provo una strana sensazione se penso alle lampade che abbiamo dimenticato accese nei luoghi in cui non siamo mai tornati… Non era colpa nostra. Ogni volta dovevamo andarcene in fretta e in punta di piedi. Sono certo che nella casa di campagna abbiamo lasciato una luce accesa da qualche parte. E se fossi io l’unico responsabile di quella negligenza o dimenticanza? Oggi sono convinto che non si trattava né di dimenticanza né di negligenza, ma che al momento di andarcene ero io ad accendere di proposito una lampada. Forse per scaramanzia, per scongiurare la malasorte e soprattutto perché rimanesse una traccia di noi, un segnale che indicasse che non eravamo davvero assenti e che un giorno o l’altro saremmo tornati.”
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Commenti
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chiaramente se Modiano meritava di risorgere dalla polvere, ben venga tutto ciò!
Sicuramente questo libro non è il capolavoro di Modiano: oltre a questo ho letto solo "Dora Bruder" (certamente migliore). Mi dicono siano belli "Nei caffé della giovinezza perduta" e "Bijou".
Debbo dire, però, che quest'autore ha uno stile inconfondibile : lieve, essenziale, e tale da non concedere nulla al mercato editoriale. Con ciò che talvolta ci tocca leggere, mi pare sia fra gli scrittori meritevoli di particolare attenzione.
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Saluti
Riccardo