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Vite spezzate.
Era felice la piccola Batuk perché era con il suo papà. Mumbai era la meta del loro viaggio, ma per la bambina sarebbero potuti arrivare anche a Timbuctù perché la presenza del genitore e la possibilità di trascorrere del tempo con lui, era motivo di gioia e di grande entusiasmo.
Giunti nella city la verità rivelata e la fanciullezza svanita. La vendita e l’addio. Quello che la giovane ipotizzava essere un itinerario di piacere si tramuta, nell’arco di pochi minuti, in uno scambio commerciale che ha come oggetto proprio lei. Non ha nemmeno il modo di chiedere una spiegazione, di salutare quella figura che l’ha tradita e che eppure negli anni a venire ricorderà senza odio bensì con grande affetto. Batuk ha 9 anni.
Sei ne sono trascorsi da quel giorno. La sua nuova vita si è manifestata con tutta la sua crudezza e verità sin dalle 48 successive ore del suo arrivo nel “nido” quando un uomo, denominato “zio” e presumibilmente sulla 45/50ina andante, l’acquista per la sua prima volta e fa di lei ciò che più desidera. Può urlare, può graffiare ma l’individuo ha pagato e vuole riscattare il suo premio. Adesso non le fa più specie fare le “torte” con quelle persone che versano denaro per infornare con lei. Non ha più paura perché sa che non ha alternative, che quella è la sua vita. Non è altro che un involucro, un imbuto che il genere maschile ha desiderio di visitare. Il suo nido è composto da altri 5 giovani, sono tutte bambine vestite da donne e un solo uomo mascherato da fanciulla.
Due sono le sue proprietà: la sua bellezza e una matita. Quest’ultima e un taccuino costituiscono il mezzo col quale può esternare la sua voce interiore, i suoi pensieri, la sua intelligenza. Perché lei ha un’anima, una mente, un cervello, emozioni, verità e dolori.
Il contrasto tra l’interiorità della protagonista e la materialità del mondo che la circonda, le metafore che questa utilizza per uscirne, la crudezza dei fatti narrati, rendono quest’opera tanto veritiera quanto forte. E’ un romanzo toccante, che non è altro che la trasposizione su carta dell’esistenza che troppi bambini nel Mondo sono costretti a vivere. Levine si rifà ad una “Batuk” con il sari rosa incontrata a Mumbai in uno dei suoi viaggi da medico e scienziato, ed è dai suoi racconti che trae ispirazione per comporre questo piccolo, ma indelebile, libriccino. Costituito da paragrafi brevi e da una scrittura semplice perché, almeno secondo me, nell’intento di Levine vi era quello di far si che chi legge potesse immedesimarsi completamente nella protagonista che ha pur sempre quindici anni ed è riuscita ad imparare a leggere e scrivere per un caso fortuito della vita, il componimento risveglia l’anima del lettore, lo fa riflettere, gli fa sgranare gli occhi, giungendo in poche ore alla sua conclusione. Merita di essere letto. Tutti dovrebbero sfogliarne le pagine, in particolare i più giovani che nati nel benessere vivono nella convinzione del “tutto è dovuto” e del “tutto e subito” perdendo così la cognizione del “cosa è importante e del cosa è superfluo”, della necessità di guadagnarsi le cose, dei valori, della consapevolezza che tante anime vivono con poco eppure nella loro povertà sono grate per quel che hanno.
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La piaga che noi chiamiamo pedofilia - e che in altri posti arriva addirittura ad essere legittimo acquisto di un essere umano - è comunque e dovunque una "pratica" penosa (che la legge la punisca o no). E' compromettere la vita di esseri umani non in grado di scegliere (né di rifiutare, dunque) dopo la totale compromissione di quella appartenente a chi compie un tale squalificante abuso.
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