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Un uomo e un bambino
Un lunghissimo cammino di cenere, terra, catrame e morte. Il libro è quasi completamente scritto in “bianco e nero”, le scene che lo compongono lasciano pochissimo spazio ai colori, i colori sono dei pochi ricordi pre-apocalisse e del finale, dove i colori sono appena accennati.
Favoloso il clima che lo scrittore riesce a creare, porta il lettore ad un livello tale di interesse, che si è sempre in attesa che succeda qualcosa di eclatante, di sensazionale e ad un certo punto ci si rende conto che tutto il racconto è eclatante, sensazionale. Il padre ed il figlio in perenne lotta con gli eventi, in continuo conflitto tra la semplicità di lasciarsi morire e l’estrema difficoltà di sopravvivere.
Un padre che anche in tanta disperazione, in tanta devastazione, riesce a proteggere il figlio educandolo e rendendolo uomo. Il bambino è il simbolo di pura e genuina bontà, toccante quando incontrano un altro bambino, forte il significato del dialogo con il padre, il più alto gesto di carità e solidarietà in uno scenario di disintegrazione totale.
Un uomo e un bambino, non Peter e Andrew, non Paul e John due personaggi eccezionali, ma senza nome, come a voler sottolineare il fatto che si tratta di due persone qualsiasi, alla quale è stato tolto tutto, anche il nome. Un uomo e un bambino, l’umanità tutta, tutti noi che dobbiamo lottare tutti i giorni, e camminare su quella strada, magari verso sud, quella strada che potrebbe anche ucciderci da un momento all'altro o che forse ci salverà.
Il bene e il male, l’odio e l’amore, il conflitto tra queste dualità sono insite nella nostra natura, l’apocalisse è cenere, è un sole che non si vede più, è un mare gelido e in burrasca, l’apocalisse sono corpi devastati e brutalizzati e senza un nome, non vi fa venire in mente l’olocausto?
“...Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”
Questa è una citazione di Primo Levi.
Questa invece è la bellissima frase che McCarthy fa dire al suo Uomo:
“… ma ancora una volta si ripeté quello che già si era detto in precedenza. Che la fortuna poteva anche non essere tale. Erano poche le notti in cui, sdraiato nel buio, non provava invidia per i morti.”
Sempre a sottolineare il concetto di lotta per la sopravvivenza e identità fino all’ultimo respiro.
Un romanzo sulla lotta, sulla vita, nonostante sia disseminato di morte, sui conflitti, sul coraggio e sulla forza di volontà. Un libro importante da leggere, nonostante il fortissimo impatto emotivo, da leggere per capire di cosa può essere capace l’uomo, nel bene e nel male, un libro che fa riflettere.
McCarthy vinse il premio Pulitzer nel 2007 per questo libro e la cosa non mi stupisce, la sua pulizia e linearità nello scrivere scorrono paralleli a quella strada che è al contempo la via per chissà quale salvezza e il luogo dalla quale stare lontani per evitare di morire.
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Commenti
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Saluti
Saluti
Ho già questo libro. Conto di leggerlo tra non molto.
Un libro che si legge bene, molto forte.
Grazie
Riccardo
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