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L'estate del bene e del male
 
L'estate del bene e del male 2014-12-23 21:51:16 Donato Ramani
Voto medio 
 
1.3
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
1.0
Piacevolezza 
 
1.0
Opinione inserita da Donato Ramani    23 Dicembre, 2014

Gruppo di famiglia in un inferno

il testo contiene spoiler
Muoversi al confine tra il bene e il male, tra la luce e l'ombra, tra l'inferno e il paradiso, in un equilibrio perfetto e compiuto sul più sottile dei fili. E' questo la delicatissima sfida a cui Miranda Beverly Whittemore chiama la sua protagonista, Mabel, ragazza brillante ma povera e piuttosto racchia, benedetta dall'amicizia con Ev, ricca, bella e viziata, che la porterà a trascorrere un'estate di incanti e misteri nella proprietà della famiglia di lei, i potentissimi Winslow. E' la sfida a cui chiama anche se stessa, come narratrice di una storia di intrighi, incesti, amori, delitti, suicidi, pazzia, lusso, lussuria, sesso, misteri, addirittura crimini contro l'umanità. Non facendosi scrupolo alcuno di riempire il racconto di così tanti ingredienti, episodi, personaggi, nomi, case, cani, andirivieni da un posto all'altro, gente che sparisce e ritorna, ricerche, indizi, frasi a effetto, vecchie zie svitate, citazioni e nequizie di un cattivone come nemmeno in James Bond, da farla ruzzolare dalle alte vette che evidentemente ambiva sorvolare al più prosaico territorio del "mo' bbasta, pero'" pronunciato dal lettore vagamente esasperato. “L'estate del bene e nel male” non funziona come favola nera - benché ci siano le fanciulle in fiore, l’orrore, l'orco e la natura matrigna –perché l’autrice avrebbe dovuto lavorare di sottrazione, compito che si è evidentemente si è ben guardata dal perseguire. E non funziona come giallo, genere complesso, dalle architetture delicate, in cui la sospensione dell’incredulità che il lettore è pronto a concedere è di solito scarsa. E che qui viene invece risulta indispensabile più volte per proseguire in una trama così farraginosa da costringere la scrittrice a buttar giù dialoghi-spiegone tra i personaggi ad uso e consumo del lettore così inverosimili da risultare quasi (quasi) spassosi. Ma se c’è una cosa su cui Whittemore fallisce, ed è questo il suo peccato originale - lei che mette in mezzo il Paradiso perduto con annessi e connessi a ogni piè sospinto (Miranda, non serviva che lo infilassi in ogni angolo del libro, avevamo capito) – è nella costruzione dei personaggi. Non ce n’è uno che risulti costruito con capacità o, almeno, con destrezza. Urlano, piangono, si pentono, si arrabbiano, si confessano, uccidono, ma non risultano mai, nemmeno per un secondo, interessanti. Compresa la protagonista-narratrice, sembrano tutti pupazzi che la scrittrice manovra per far quadrare la storia. E questa, per chi vuole ficcare le mani nella bellezza e nell’orrore dell’animo umano, e raccontarlo, sia pure in una letteratura di genere, è una colpa che non si può perdonare.

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