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Di COSA PARLIAMO?
Quando apri la prima pagine di "Democracy" fai fatica a capire se stai leggendo un romanzo, un poema, un diario intimo, un esperimento letterario o più semplicemente « i cocci di un romanzo»: le prime frasi sulla “luce dell’alba durante i test sul Pacifico” che “ti fa quasi pensare di aver visto Dio” sono un verso, immediatamente dopo ti viene raccontato il colloquio fra un uomo e una donna, ma l’effetto è quello di una registrazione inceppata causa l’apparecchio guasto. E’ un po’ come se la scrittrice non avesse ancora scelto uno stile, e non riuscisse a produrre altro che una frase smozzicata, un procedere incerto fra le parole che non può fare a meno di puntellarsi sulle ripetizioni. E nulla cambia, anche quando lo scenario si amplia: gli esperimenti nucleari condotti dagli Stati Uniti negli anni 50, la guerra del Vietnam, la CIA, il colonialismo, la politica, "Vogue", e come labile filo conduttore la passione di una vita fra Inez Victor, moglie di un senatore, e Jack Lovett, faccendiere o spia nel sudest asiatico. Fa anche capolino nel fitto intreccio la figura dell’autrice con il suo ribadire che i tasselli del puzzle sono stati messi insieme fra mille dubbi: il risultato è una verità a tal punto a brandelli da lasciare emergere più le ombre che le luci. Non ci si deve comunque sorprendere troppo, tenendo conto che si tratta di un modo coerente di concepire la scrittura: le radici sono nella prosa scarnificata all’estremo di Hemingway, nel minimalismo di Carver, ma anche nelle teorie del New Journalism, il movimento sviluppatosi negli anni 70, di cui la Didion ( 1934), giornalista e scrittrice, è stata definita la Maestra. Democracy, considerato un classico della letteratura americana del ‘900, è il manifesto programmatico di un rinnovamento radicale nello stile: posto che di una verità oggettiva negli accadimenti si debba sempre dubitare, il giornalista, diventato romanziere, deve rinunciare a una versione definitiva ed insindacabile degli eventi. Se si lasciano affiorare i dettagli, le suggestioni, ci si accorge che la realtà è molteplice a seconda di chi la vive e ciò la rende sfuggente, inafferrabile, persino per chi ha la presunzione di raccontarla. Il relativismo cela però un messaggio subliminale, evocato dal titolo: parole ed immagini dietro di sé hanno il vuoto e spesso si mutano nel contrario di quello che vorrebbero significare. Allora di cosa parliamo, quando parliamo di democrazia?
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