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La voce del silenzio
“Danny l’eletto” di Chaim Potok è un’opera che coraggiosamente mette in risalto le contraddizioni e i contrasti che caratterizzavano la comunità ebraica alla fine degli anni quaranta, nel momento in cui la tragedia della Shoah veniva alla luce in tutta la sua inconcepibile e incomprensibile atrocità, e negli anni immediatamente successivi, quando si cominciava a parlare più concretamente della definitiva istituzione di uno stato di Israele in terra di Palestina.
Il romanzo si ambienta negli Stati Uniti, terra di rifugio e di riferimento per molti ebrei giunti da diverse parti del territorio europeo. La storia, semplice nella sua trama che vede come protagonisti due giovani adolescenti , diviene la metafora delle differenze culturali e religiose che distinguevano il mondo ebraico. Ancora oggi tali differenze non sono del tutto superate e ciò impedisce una definitiva omogeneità nelle scelte politiche e sociali della classe dirigente dello Stato di Israele.
L’accesa competizione sul campo nella partita di softball che vede Danny e Reuven affrontarsi come nemici più che come atleti, annuncia metaforicamente quelle differenze fondamentali che minacceranno di separare i due ragazzi pur legati ormai da un sentimento di profonda amicizia. L’educazione impartita dal rabbino Saunders al figlio Danny risulta incomprensibile agli occhi di Reuven, abituato a un rapporto di confidenza e fiducia con suo padre, il professore Malter, studioso del Talmud. Sono due concezioni del mondo diverse, in contrasto l’una con l’altra. Da una parte la chiusura e l’intransigenza del rabbino gli impedisce ogni contatto confidenziale con il figlio, che educa e alleva nel silenzio, col timore che l’eccezionale intelligenza di Danny possa essere di impedimento alla crescita e alla rivelazione della sua anima. La fede diviene così qualcosa di freddo e impersonale, un formale inno al Signore. Reuven, al contrario, trascorre molto tempo con il padre che gli spiega nei dettagli le parti più complesse del Talmud. Danny è attratto dalla psicanalisi e dalle teorie freudiane, considerate con disprezzo da suo padre, Reuven, invece, ha una mente più razionale e preferisce la psicologia sperimentale. Due mondi a confronto: ciò che interessa Potok è il rapporto tra ebreo e ebreo in terra americana, tra tradizionalisti e secolarizzati, tra chassid e apicoros, tra l’uso dello yiddish e l’uso dell’ebraico, nel tentativo strenuo di creare una coesione e una unitarietà indispensabili nel momento della creazione di uno stato ebraico. E qui è il punto più politico dell’opera. Il rabbino Saunders ostacolerà ostinatamente il sionismo, che è invece la vera meta che si prefigge Malter, e di cui rende partecipe il figlio Reuven.
Se da un lato Saunders afferma la necessità di attendere il Messia per costituire lo stato di Israele, Malter afferma, più realisticamente: “Il nostro Messia dobbiamo crearlo noi stessi”.
Ciò che risulta più interessante in questo romanzo è proprio l’aver evidenziato il diverso approccio alla religione e alla politica in seno alla società ebraica, e la necessità di superare le differenze o almeno di conciliarle, perché solo con una coesione interna un popolo può affrontare e superare le sfide che gli si pongono di fronte.
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Commenti
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Credo che per poter cogliere appieno i contenuti sia necessario un minimo di preparazione sul tema trattato e sulla storia religiosa.
Bel commento, utile a chi, come me,vuol continuare a conoscere questo autore.
Un saluto
Laura
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Ho riletto di recente questo libro, con il seguito delle vicende in ''La scelta di Reuven''. Nella rilettura sono stato colpito soprattutto dalle questioni umane e relazionali, in particolare dalle due grandi figure di padri
( seppur molto diverse fra di loro ).