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La "Cassazione" che non ti aspetti
Un inizio alla Sciascia. Un crescendo alla Kafka (sebbene portato avanti in modo meno asettico e più “carognesco”).
Mentre il protagonista di “Todo Modo”, libro dello scrittore siciliano, decide deliberatamente di deviare in auto per una strada secondaria che lo porterà a vivere una strana avventura, il protagonista di questo breve racconto di Durrenmatt è dalla sua automobile malinconicamente lasciato a piedi. Constatato che la riparazione non sarà cosa di poche ore, Alfredo Traps – rappresentante di una moderna azienda tessile – si rassegna a cercare ospitalità notturna nel paese più vicino.
Finisce nella comoda villa di un arzillo ultraottantenne, frequentata da amici coetanei di costui. Così, tra magnifiche portate, vini d'annata e goduriosi schiamazzi, il prelibato ospite si ritrova sul banco degli imputati. Già! Perché quell'allegra (e apparentemente innocua) combriccola è formata per intero da uomini di legge in pensione: il loro passatempo preferito è sottoporre a processo chi gli capita tra le mani, così da rivivere per un po' i bei tempi andati.
Via con la recita, dunque: in men che non si dica tre tranquilli pensionati si trasformano in giudice, pubblico ministero e avvocato difensore (ci sarebbe anche un boia, per il vero). A reggere quel simulacro di udienza tribunalizia, il principio di partenza secondo cui ognuno ha la sua colpa. Basta trovarla.
All'inizio Traps oppone resistenza, ma poi il vino e il buon mangiare lo tramutano in un imputato molto attivo e divertito. Ed inizia a parlare, parlare, parlare, con somma disperazione del suo stagionato difensore...
La giustizia impersonale e inesorabile de “Il processo” di Kafka, si tramuta, nel “processo alla buona” di Durrenmatt, in un tardivo e affabile regolamento di conti col passato. Tra occhiolini, risate, catarri senili e gioviali abbracci all'imputato che si lancia in inattese confessioni, si chiariscono i termini di un successo professionale dai contorni ambigui.
L'elemento metafisico e quello metaforico si intrecciano in questo racconto di Durrenmatt, non facilmente collocabile e comunque ben diverso dalla cupa e geometrica vicenda de “La promessa”, dello stesso autore.
Alla fine, una parabola tra il comico e il macabro, che si lascia leggere più o meno in un'ora. Consigliato a chi ama le “divagazioni” con retrogusto amaro.
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Commenti
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Questo esile libretto svela quali abissi si possano riscontrare sotto un'apparente normalità, fatta di consuetudini e superficialità, e come tale situazione possa riguardare molta gente che cammina a testa alta.
Grazie Lorenzo,
Poia
sai che non ci avevo pensato? In effetti è un lavoro che ha tutte le caratteristiche per essere uno scoppiettante atto unico. Toglimi una curiosità: chi erano gli attori?
Per Annamaria:
Grazie. Tra l'altro amo tantissimo sia Kafka che Buzzati... e (non la prendere come un'eresia) se Kafka fosse nato dopo Buzzati avrebbe potuto tranquillamente essere considerato il Buzzati cecoslovacco.
Per Emilio:
si, è in effetti una storia molto particolare, che - ripeto - ho avvicinato a due mostri sacri (il parallelo con Sciascia è in realtà un po' più in superficie, anche se i personaggi più anziani sono di quelli "graditi" allo scrittore siciliano). Grazie: ho comprato e letto il libro dopo la tua segnalazione.
Ci sono un altro paio di libri che mi piacerebbe leggere di Durrenmatt: mi stimola molto la trama di "Giustizia". Lo hai letto?
Per Pia:
grazie... tuttavia non mi chiamo Lorenzo. Stai provando a indovinare? :)
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