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Diritto e coscienza
Spesso scegliere non è facile. Specialmente quando la scelta investe la sfera morale, coinvolge la coscienza, mette in gioco la vita degli altri. Avere ruoli e responsabilità importanti è altrettanto difficile. Non è un luogo comune affermare che il successo si paga e che a farne le spese il più delle volte sono la famiglia, gli amici, gli affetti.
Il giudice Fiona Maye, la protagonista dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, La ballata di Adam Henry, ha sacrificato se stessa e la sua vita privata per realizzare un fine di perfezione professionale e di successo personale. Alla soglia dei sessant’anni, stimata, rispettata e ossequiata, si trova di fronte a una crisi coniugale che le riesce difficile gestire e che le impone di rimettere in discussione tutte le scelte fatte fino a quel momento. Contemporaneamente le si presenta un caso molto difficile da giudicare, al quale dovrà dedicare tutta se stessa per procedere nel massimo rispetto della deontologia professionale e della propria coscienza.
Il giovane Adam Henry, quasi maggiorenne, è gravemente ammalato di leucemia e rifiuta ogni intervento trasfusionale, come gli impone la sua religione che lo vuole, insieme ai genitori, ortodosso testimone di Geova.
La decisione del giudice sarà una sentenza di vita o di morte. Qui dunque si pone il primo quesito morale: fin dove è lecito decidere di lasciar morire un individuo per rispettare la sua fede religiosa o viceversa fin dove può spingersi l’autonomia del giudice nell’ignorare questa fede per salvare una vita.
Il discorso potrebbe riguardare ogni integralismo religioso, ogni fede che non consideri la vita come l’evento più importante, nella sua unicità, nell’esistenza dell’uomo. La paura della morte è talmente innata nell’individuo, che ogni forma di fanatismo che ne sottovaluti la drammaticità diviene innaturale. D’altra parte il progresso scientifico stesso è inteso e volto al miglioramento delle condizioni di vita e al suo prolungamento.
La decisione del giudice, dunque, valuterà l’importanza del punto di vista religioso, ma non ne sarà condizionata. Fiona Maye deciderà a favore della vita di Adam, sollevando, paradossalmente, gli stessi genitori di ogni responsabilità.
Ciò che si può scatenare nella psiche di un giovane restituito alla vita appartiene all’imponderabile. Un senso di ribellione nei confronti di un credo estremamente rigoroso, che nega la possibilità di godere di tutte le opportunità che offre la vita, può a volte scatenare uno squilibrio momentaneo o duraturo. Le certezze del giudice Maye vengono sconvolte dal giovane Adam che a lei si era rivolto in cerca di aiuto. Un appello rimasto incompreso e dunque non raccolto. Qui si palesa ancora una volta l’abilità dell’autore nel creare un gioco di metafore contenute nella ballata che Adam scrive e invia a Fiona. La drammaticità del finale del romanzo è accentuata da una sorta di crescendo musicale che accompagna i pensieri della protagonista.
Ciò su cui ci si interroga, in ultima analisi, è fino a che punto si abbia il diritto di sostituirsi agli altri, imponendo, sia pure in buona fede, il proprio punto di vista o se invece, non sia più giusto lasciare a ciascun individuo la libertà di decidere della propria vita e della propria morte. E soprattutto quali e quanti rischi si corrono nello scardinare principi basilari di ideologie, culture, religioni e tradizioni diverse senza avere alcunchè di valido da sostituire ad esse?
Il romanzo di McEwan pone questi interrogativi, senza avere la pretesa di dare una risposta, anche perché una risposta non esiste. Sta alla coscienza individuale trovare una soluzione per ogni caso, senza l’arroganza di credere che essa sia l’unica giusta in assoluto.
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Laura