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LA MATERIALITA' DELL'ASSURDO
Il dolore non si può descrivere, se non come un odore, una piaga immarcescibile, uno spettro, scaturigine dei tuoi rimorsi, o una prigionia della mente nella malattia: tutti i protagonisti dei nove racconti dell’esordiente Adam Haslett sono anime non sopravvissute al dolore. Non c’è stagione della vita che non sia troncata, senza una ragione, dall’insorgenza del male: l’adolescente ritratto da “Il principio del dolore” dopo il suicidio della madre, esige dal coetaneo di cui è innamorato brutalità e violenza, come se i pugni dell’amico potessero scacciare la sofferenza che l’opprime; l’anziana Elizabeth di “Volontariato” continua nel ricovero che la ospita il doloroso colloquio con il fantasma di una donna morta un secolo prima dopo aver messo al mondo un figlio, la stessa cosa che è successa a lei, e per la quale non riesce a perdonarsi. La fanciullezza del dodicenne di “Premonizione” è deprivata precocemente della speranza: il dono/maledizione di presagire l’evento luttuoso prima che si verifichi lo fa vivere “ come se il mondo di tutti i giorni, tutto quanto gli era familiare, si fosse rivelato una dimora minuscola e affollata, satura di rumore e di chiacchiere. Una casa su una pianura deserta”. E in quella casa su una pianura deserta abita l’umanità depressa ritratta da Haslett: l’assurdo de “Il principio del dolore” è materiale, concreto, una lente deformante paradossalmente poetica per chi la possiede, per chi le cose le vede “dalla parte sbagliata di un telescopio”. L’assurdo è dunque la verità delle piaghe maleodoranti del ragazzino infetto da una gravissima psoriasi di “La fine della guerra” o in “Devozione” quella delle parole delle lettere nascoste in un armadio di un uomo lontano, barriera ideale per un fratello e una sorella che lo hanno amato nello stesso momento tanti anni prima.
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