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Kawabata per ogni stagione
“Koto” di Yasunari Kawabata ritrae l’anima del Giappone nell’avvicendarsi delle stagioni.
PRIMAVERA
“Chieko scoprì le violette fiorite sul tronco antico dell’acero”. Sono due, i cespi di violette che occupano gli interstizi di un tronco. Ed è preludio di un legame gemellare che attraversa il tempo scandito dalla natura. Nell’attenzione verso creature anche piccole (“A un tratto si ricordò dei grilli-campanari che allevava nel vaso Kotamba”), nell’esplosione floreale (“Si avvicinava l’ora dell’appuntamento per andare a ammirare i ciliegi in fiore”), passeggiando con grazia tra ritagli di paesaggio (“Shinichi attraversò il lago passando da una all’altra delle pietre che costituivano il cosiddetto sawatari. Erano pietre rotonde simili a sezioni di colonne dei giganteschi portali dei parchi sacri. In qualche punto, Chieko sollevò leggermente l’orlo del kimono”) e luoghi di culto (“Vorrei andare al tempio Kiyomizu… Da lassù mi piace guardare la città di Kyoto al crepuscolo e il tramonto sopra i monti a occidente”), lasciando affiorare il dilemma identitario (“Trovatella?”) della protagonista, figlia adottata da un imprenditore tessile che si diletta a confezionarle abiti e si lascia attrarre dal richiamo della geisha…
Il rigoglio vegetale trionfa nell’orto botanico di Kyoto, e son cinnamomi, alberi della canfora, salici e tulipani a non finire, poi si celebra nella geometria verticale dei cedri del Kitayama (“Per far crescere i cedri alti e dritti, tagliano con l’accetta tutti i rami. Si arrampicano come scimmie su scalette e poi passano da un albero all’altro”).
ESTATE
La leggiadria del creato addolcisce ogni trama umana, perché “gli uomini, nella loro vita, combinano sempre una o due cose tremende. Prendere un bambino altrui è più grave che rubare denaro… più grave anche di uccidere, forse”.
L’estate è un temporale che esplode, luglio è il mese della celebrazione di una festa che – come il coribantismo dell’antica Grecia – rappresenta nelle civiltà evolute il senso di un’identificazione spirituale e culturale che riesce con successo, nella liturgia di un rito ritmato dai tamburi, a contrapporre la collettività all’individualismo e alla solitudine.
“La festa di Gion… dura l’intero mese… il carro con l’alabarda dell’iki-chigo – il fanciullo celeste – apre il corteo…”
Il bimbo prescelto sposa gli dei e, nella ricorrenza, la ventenne Chieko ritorna al suo amore bambino per Scinichi:
“A quel tempo dovevano avere entrambi sette o otto anni”
“Non si è mai vista neppure una femminuccia, così bella!”
Possibile che sia già ora di rimpiangere il passato (“Non torneremo più così piccoli, eh?”)?
AUTUNNO
Viene il tempo delle “sorelle in pieno autunno”. Si sono ritrovate e recuperano il legame del grembo materno.
La stagione è quella del richiamo del sangue, lo stesso che tinge le foglie caduche: “Chieko avvertì un dolore in petto. Quel suo desiderio di visitare il paese dei cedri, di veder quegli alberi, non era stato il richiamo dello spirito del padre?”
Ma l’autunno è anche la stagione dei colori di kimono e obi che l’artigiano Hideo (“la bottega di Hideo-san fabbrica obi”) confeziona per gemelle dall’ambivalente identità personale (“Io non sono certo una visione! Sono la vostra gemella!”) nel complicato gioco dei rapporti umani: “Hideo-san voleva sposare lei, Chieko, ma rassegnandosi all’impossibilità intendeva ripiegare su Naeko che le somigliava perfettamente”.
INVERNO
Anche la stagione fredda ha i suoi “fiori d’inverno” (“Tutte le foglie degli aceri cadute e l’inverno già sui piccoli rami”). La natura si spoglia, ma non sfiorisce nella nudità (“Le poche foglie lasciate a corona in cima ai cedri perfettamente dritti parvero a Chieko fiori dell’inverno!”), “c’è aria di nevischio” e “nell’aria… una specie di gelida foschia”.
Le sorelle piangono e dormono insieme e per Chieko è tempo di una nuova consapevolezza (“Shinichi era stato suo compagno dall’infanzia fino al liceo, era molto cortese e certo le voleva bene, ma non aveva mai detto parole che le mozzassero il respiro come quelle di Ryusuke”).
Lo stile di Kawabata mi ha catturato. Nei dialoghi lo scrittore, premio Nobel nel 1968, spesso inserisce quest’espressione: «…», quasi a esprimere l’ineffabile, o forse per invitare il lettore a interpolare la discussione dei personaggi.
“Koto” è un romanzo poetico e magico, come magico è il regalo di un amico, come magica è la scoperta di una cultura così diversa, ma profondamente vicina alla sensibilità di chi si lascia conquistare dalle manifestazioni artistiche dello spirito universale che attraversa il globo. E che mi fa chiedere, con Kawabata: “E se tutti gli uomini fossero gemelli?”
Bruno Elpis
P.S. Questo commento viene pubblicato nella sezione “recensioni” di www.brunoelpis.it con alcune foto in albumina dell’ottocento giapponese, esposte alla mostra di Lugano.
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Commenti
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Mi perdoni Qlibri ma appena ho visto Koto in vetrina sono andata direttamente sul tuo sito. Le foto sono splendide, sei andato personalmente a quella mostra ? Ah che atmosfere ...
Sai che ogni volta che osservo il Giappone che fu prima dell'occidentalizzazione mi avvicino sempre di piu' allo shock subito da Mishima ? E anche da Kawabata , lui che mai si e' voluto vestire senza il suo kimono.
Ci hai regalato anche certe atmosfere poetiche di cui il grande autore giapponese è maestro.
@ Antonella: ma grazie! Per noi è stata un'occasione... :-)
@ C.U.B.: no, non ci sono ancora andato! E pensare che Lugano è a un tiro di schioppo da casa mia! Intanto mi sono salvato sulla mia chiavetta anche qualche foto di Kawabata in chimono (e di Kawabata con Mishima) :-)
@ Emilio: l'atmosfera è davvero unica, lo si legge come sospesi in una bolla d'aria :-)
il sapore della recensione cambia notevolmente :-)
Che personaggi.
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ho avuto il piacere di leggerlo ed il tuo commento è di un'estrema lucidità poetica ma anche analitica