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DELIRIO A NEW YORK
" Che l'infelicità occidentale venga dal fatto che noi abbiamo sempre voluto cambiare il mondo ? " (T. Terzani).
Ambientato nell'anno 2000. Il mese di aprile.
Un giovane uomo ricchissimo e ben introdotto nei meandri del potere attraversa su un'iperaccessoriata limousine, in una caotica giornata di traffico, la metropoli per andare a farsi fare un taglio di capelli. In questo viaggio, dilatato nelle lunghe ore di percorso, accade di tutto, dalla buffonata alla tragedia.
In questo libro di De Lillo, molto bello e piuttosto noioso, c'è una rappresentazione inquietante ed implicitamente parecchio critica della realtà americana contemporanea, con una scrittura di vetro e acciaio, che ben si adatta al paesaggio urbano della metropoli, ed un linguaggio che evidenzia la pochezza umana e la volgarità della realtà descritta; linguaggio talvolta in bilico, sul filo di lama, a rischio di diventare esso stesso portatore di quella volgarità. Lo stile dell'autore, però, regge; anzi diventa un meccanismo letterario collaudato, in cui spesso è possibile gustare il piacere estetico emanato dall'architettura del discorso, dal concatenarsi delle frasi: per me lettore, unica piacevolezza che questo libro consenta.
Qui De Lillo è scrittore strettamente ' americano-americano ', erede di Fitzgerald . Mentre, però, nel romanzo "Il Grande Gatsby", pur percependosi una rappresentazione implicitamente critica, c'è il fascino del ' sogno americano ' , qui emerge quasi esclusivamente lo svelamento di personaggi che han perduto se stessi.
La pienezza di significato del libro sta proprio nella rappresentazione dell'assenza di significato nella dimensione esistenziale di questi personaggi, dove "la vita è troppo contemporanea" , "la città mangia e dorme rumore" e ci si chiede "perché morire quando puoi vivere su disco ?".
Si avverte il disorientamento di uno spaccato di società senza radici, senza una consolidata tradizione a cui attingere, totalmente carente di interiorità spirituale; la ragione, poi, non è quella illuminista, bensì di derivazione positivistica fatta di tecnicismo e aridità.
Il potere capitalistico-finanziario pare aver un dominio agghiacciante: l' "andamento dello yen (...) potrebbe annientarci nel giro di qualche ora" e "il denaro parla a se stesso", "l'unica cosa che importa è il prezzo che paghi".
A questo punto l'immagine emblematica che resta è "la grande, sparsa bellezza dei bidoni della spazzatura rovesciati".
Quale saggezza nel nostro buon Manzoni che scriveva: "Non tutto ciò che viene dopo è progresso" !
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letteratura americana
Commenti
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Una parte della letteratura americana contemporanea è così: enfatizza (forse) la brutalità della società, ma non ricerca elementi costruttivi, di speranza. Poi la carenza di una forte tradizione a cui ancorarsi fa il resto.
Condivido ciò che dici.
Nel libro mi pare ci sia solo la disillusione.
Ho introdotto nella recensione alcune frasi estrapolate dal libro sia perché sono così espressive da bastare a se stesse, sia per dare un'idea del livello letterario de testo.
Devo aggiungere che questa scrittura ' molto americana ' mi annoia un po', anche se qui siamo quasi ai vertici di tale modalità espressiva.
Un altro aspetto che trovo deprimente è la carenza di tradizione riscontrabile in molti americani, nel senso che spesso, anche per motivi storico-sociali, non hanno alle spalle una consolidata civiltà a cui attingere, per cui la loro letteratura risulta... nevrotica.
non conosco De Lillo, ma seguo tutte le recensioni sperando di trovare lo slancio giusto per provarne la lettura....
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inizi con Terzani, finisci con Manzoni, mi son persa De Lillo, ma se è solo stile, passo volentieri.
Laura