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Cioccolata amara
New York 1953. Un collegio per ragazze wasp e una ragazza di 15 anni, Courtney, inquieta e solitaria. Genitori divorziati, una madre attrice a Hollywood, un padre assente. Una compagna di stanza, Janet, insofferente alle regole, ribelle e smaniosa di fare la bella vita che comprende sesso, alcool, feste con la creme della società americana.
Fin qui si potrebbe pensare a un tipico romanzetto per ragazze, con amori, illusioni, perdita della retta via e redenzione finale, ovvero l'amore vero e la famiglia. Una bella atmosfera dai colori pastello, con ragazze bionde e carine, con tanti sorrisi ed espressioni beate alla Sposerò un milionario. Niente di tutto questo. La cioccolata a colazione è soltanto un miraggio, un desiderio, il desiderio che al risveglio ci possa essere una bella colazione già pronta, magari a letto e che sul vassoio ci sia la cosa più buona del mondo. Invece la cioccolata non ci sarà mai, solo caffè nero e amaro, perché malgrado le apparenze, i bei vestiti, i party e l'aria di festa perenne, la vita di queste ragazze si snoda in un continuo tentativo di non annegare nel mare della solitudine e della ricerca di un'identità.
La protagonista, Courtney, è una ragazza sexy e di una bellezza non convenzionale, ma soprattutto è una ragazza schietta forse perché ha passato molto più tempo con gli adulti che con i suoi coetanei e sa che deve richiare tutto per sopravvivere. Tuttavia è anche piena di inquietudini che la portano in alcune occasioni a pensare al suicidio, è piena di desiderio di scoprire chi è veramente, ma soprattutto è piena di desiderio di amore. Il desiderio più intenso di Courtney è l'amore, vuole essere amata più che amare e vuole essere amata in modo raffinato, così lei dice.
Riportata a Hollywood dalla madre si dovrà confrontare con una madre attrice in declino, infelice e quasi sul lastrico che però non vuole rinunciare alle apparenze, alle feste, ai cocktail, alla cameriera, al meraviglioso mondo dello showbusiness e allo champagne a colazione, questa volta per davvero.
Courtney qui scoprirà di essere quasi una donna, vivrà il suo primo amore, il primo sesso con un attorucolo omosessuale che non accetta la sua sessualità, finché insieme alla madre tornerà a New York in cerca di una nuova vita per entrambe.
Finalmente Court ritroverà la sua amica Janet e un gruppo eterogeneo di coetanei dediti all'alcool, alle feste e al sesso, fino all'acme finale che porterà la giovane a riflettere sulla vita, l'amicizia, l'amore, ma soprattutto a pensare che non tutto è ancora perduto.
Il libro fu scritto da Pamela Moore nel 1956 e racconta una vicenda in parte autobiografica. Forse proprio per questo è un libro sincero, duro, privo di filtri (la censura intervenne eliminando le parti più dettagliate, in particolare rispetto al sesso) in cui troviamo ragazze sessualmente attive, grandi bevitrici, giovani che vengono espulsi da Yale e Harvard perché perennemente ubriachi, ragazzi e ragazze della buona società newyorkese che si trascinano da una festa all'altra, che fanno sesso, fumano una sigaretta dietro l'altra e che non vedono nessun futuro, solo la confusione e la nausea post sbronza, dove i genitori sono assenti e vuoti (intensi e veri i dialoghi tra Court e i genitori).
Courtney è una ragazza intelligente, non sempre simpatica, anzi a volte irritante, come molti dei personaggi del libro, ma è sincera e, chi lo sa, forse ritroveremo proprio lei, con una nuova consapevolezza, qualche anno più tardi tra i personaggi de Il gruppo di Mary McCarthy.