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UN INVERNO IN BILICO
Gerusalemme, inverno 1959-60. Un ragazzo universitario di 25 anni, alle prese con una ricerca, che non riesce a concludere, intitolata "Gesù visto dagli ebrei". Il giovane, "barbuto (...), timido, sensibile, socialista, asmatico, propenso tanto all'entusiasmo quanto alla precoce delusione", recentemente lasciato dalla ragazza, è affascinato dalla figura di Gesù ("perché gli ebrei non hanno voluto accoglierlo?") e ossessionato da quella di Giuda. Il tema del tradimento affiora spesso fra le pagine.
Un annuncio sul giornale: "A studente celibe (...) dotato di competenza storica, offronsi alloggio gratis e modesto stipendio mensile in cambio di cinque ore serali di compagnia a settantenne invalido, colto ed eclettico (...) bisognoso di conversazione".
Nella casa, oltra al vecchio, vive una donna con tutti i suoi segreti che, almeno in parte e con gradualità, si sveleranno.
Questi tre personaggi, con le loro ossessioni, paiono bastare al racconto; gli altri stanno sullo sfondo: qualcuno vivo, qualcuno morto.
Ovviamente c'è la questione israeliana (come potrebbe essere altrimenti?): la nascita dello Stato ebraico e gli scontri con gli Arabi, a contendersi quel territorio di vitale importanza non solo economica, ma politica, religiosa, culturale, simbolica.
La vicenda è ambientata oltre mezzo secolo fa, ma il libro è recentissimo (in Italia è uscito da pochi giorni, nella pregevole traduzione di Elena Loewenthal): si avverte la problematicità attualissima di quella terra in cui l'autore è nato e vive tuttora.
Amos Oz, lo sappiamo, non è in posizione neutrale sulle questioni del suo Paese, anzi ha scritto pure testi di saggistica sull'argomento, per cui le sue idee sono ben conosciute: è un teorico del "compromesso", del "cercare di incontrare l'altro a metà strada"; insomma è un pacifista. Non si pensi, però, che questo libro sia un saggio di idee volte in narrativa; anzi..., in un'intervista, lo scrittore sostiene un presupposto letterario, che attribuisce a Lawrence: "per scrivere un romanzo bisogna saper presentare con uguale credibilità cinque o sei punti di vista diversi". E ci riesce, anche se i protagonisti sono solo tre.
L'autore è un maestro di stile, qui ad un livello altissimo: una scrittura austera, cioè priva di fronzoli o leziosità; scrittura che procede senza sforzi, anche se sappiamo, come dice A. Piperno, "non c'è niente di meno spontaneo della spontaneità letteraria. Anzi, la spontaneità è una conquista", degli artisti autentici, diremmo noi.
In questo romanzo di interni, i dettagli si fanno penetranti. Anche gli splendidi squarci di paesaggio, semplici e solenni, offrono emozioni che toccano qualcosa di profondo e indelebile, talvolta con "una luce di miele (...) la luce che accarezza Gerusalemme nelle giornate d'inverno", oppure "luce invernale, luce di pini e pietra"; "i neri cipressi oscillavano come in quieta devozione" e nel silenzio "si sentono quasi respirare le pietre".
Indicazioni utili
letteratura israeliana
Commenti
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molto interessante sia l'analisi del testo che l'inquadramento dell'autore e se pensiamo poi al padre che ha perso anche un figlio a causa di quel conflitto, ogni altra riflessione si spegne di fronte alla grandezza dell'uomo.
Ciao
Grazie Emilio
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