Dettagli Recensione
Per lo scaffale dei classici
Il libro è tanto coinvolgente e di tale rilevanza che non ho saputo sottrarmi al desiderio di unirmi alle belle recensioni già ospitate.
Definire “La famiglia Karnowski” una saga familiare può apparire riduttivo, per un romanzo in cui si intrecciano strettamente i rapporti tra la comunità ebraica e i”gentili”, la loro evoluzione nella fase della nascita e della conquista del potere da parte dei nazisti, i dissidi culturali interni al mondo ebraico, la drammatica tensione interiore che nasce dalla ricerca di un punto di equilibrio per la convivenza fra le due identità di ebreo e di tedesco, con le lacerazioni che ne derivano nei rapporti intergenerazionali..
Il romanzo è articolato in tre parti, corrispondenti alle figure centrali di tre generazioni, ma anche ai tre paesi in cui è ambientato: Polonia, Germania e Stati Uniti.
David, la figura cui è dedicata la prima parte, è un appassionato cultore delle tradizioni e della religione ebraica, tanto da lasciare la Galizia per Berlino a seguito di una disputa religiosa. In questa parte I. J. Singer, figlio e nipote di rabbini, conduce il lettore non ebreo nei rituali, nelle tradizioni e nella cultura yiddish, nelle citazioni talmudiche ed anche nei conflitti di pensiero del mondo ebraico. È la parte più suggestiva, con una ricca terminologia yiddish, resa accessibile da un glossario, che ci riporta ad una Germania vitale, in cui la componente ebraica e la società prussiana convivono senza amalgamarsi, ma con un reciproco rispetto basato anche su concreti interessi. David sintetizza la possibilità e la regola di convivenza nel principio "ebreo in casa, tedesco fuori".
Un equilibrio che si rompe già con il figlio Georg, indifferente a tutto ciò che riguarda l’identità ebraica, sino al punto di sposare una cristiana. Tale scelta porta alla rottura dei rapporti con il padre che constata amaramente l’inversione del suo principio di vita in quello di “essere goyim in casa ed ebreo fuori”. Un’inversione pericolosa quando l’antisemitismo diventa elemento fondante del nazismo al potere, provocando per i Karnowski il crollo della situazione di notevole benessere acquisita.
Non solo il matrimonio non è sufficiente per l’osmosi tra le due identità e per sfuggire alle persecuzioni, ma è causa di una pesante lacerazione per il loro figlio Jegor, affascinato dalla nuova ideologia e insofferente ad un’identità ebraica cui si sente condannato dai caratteri somatici, dalla circoncisione e che lo porta a subire umiliazioni dolorose. Una lacerazione che solo passando da un’esperienza drammatica potrà essere ricucita.
Come in “Giobbe” di Joseph Roth (un romanzo con cui vi sono, pur nella diversità del contesto, interessanti parallelismi) New York, dove si rifugiano per sfuggire al nazismo, non è la Nuova Gerusalemme, ma è solo la spiaggia su cui approdano dei naufraghi che dovranno ricostruire, faticosamente e dolorosamente, una nuova esistenza.
Pubblicato nel 1943, la shoa non compare ancora in tutta la sua dimensione, ma le ombre cupe del nazismo che dominano la scena ne fanno già prevedere i tragici sviluppi.
Oltre alla trama, la narrazione splendida e la ricchezza di personaggi accuratamente tratteggiati, fanno di questo libro una lettura imperdibile. Un grazie ad Adelphi per averlo recuperato!
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A me il libro è piaciuto, ma non in modo entusiastico, come è accaduto a te.