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Il fondo amaro della tazzina
Una festa a casa del signor Gatsby pare un evento a cui non si possa mancare, nella sua sfavillante villa di West Egg, un diamante incastonato nella East Coast newyorkese: illuminata a giorno, affollata di sconosciuti ridenti, calici di champagne sempre riempiti, canti e balli, baldorie eccelse e leggere, in piena atmosfera Roaring Twenties.
Eppure Nick Carraway cerca il padrone di casa, per salutarlo e ringraziarlo: è lui il narratore del romanzo, un americano medio del Midwest venuto a New York per rincorrere il sogno di Wall Street che si ritrova vicino di casa di un certo Gatsby, un maestro delle cerimonie dalla fama nera.
Dall’altro lato della baia c’è East Egg, limbo dorato ed elegante e regno della cugina di Nick, Daisy, e del suo rozzo marito Tom Buchanan: Daisy è creatura fatua e volubile, passiva di fronte ai tradimenti del marito, di fronte al trascorrere del tempo, di fronte a ciò che la coinvolge.
Tuttavia è lei il fulcro del romanzo, il grande amore di Gatsby, il motivo del suo trasferimento nella villa di fronte alla sua, delle feste pantagrueliche, del suo avvicinarsi a Nick per poter incontrare Daisy di nuovo, dopo gli anni trascorsi separati, e tirare le fila del passato verso un futuro a lungo sognato.
Sembra che la fiaba si sia avverata, che il passato possa diventare futuro, ma non c’è trionfo per nessuno: l’amore di Daisy e Gatsby appassisce rapidamente e un tragico evento li allontana definitivamente, lo sfavillio di West Egg si affievolisce fino a spegnersi assieme al padrone di casa, lasciando dietro di sé una carcassa ancora vestita a festa.
Il finale è amaro, della folla che popolava le feste nessuno ha potuto partecipare all’ultima celebrazione di Gatsby, tutti occupati a partecipare alla Festa della vita, sfrenata e priva di pensieri: rimangono il padre di Gatsby, ombra di un passato così agli antipodi, e Nick Carraway, l’outsider, l’amico, il narratore perfetto perché non si lascia catturare completamente dal turbine furioso.
Grazie a lui possiamo osservare il Grande Gatsby da un punto di vista privilegiato: un uomo che ha raggiunto l’apice, ma che vuole riportare in vita un passato che gli sfugge tra le dita, ripagato con la moneta agra dell’egoismo di Daisy dopo essersi sacrificato definitivamente per lei.
Fitzgerald lo dice in poche righe e rischia di perdersi tra le pagine, ma quando la visione che Gatsby ha di Daisy si scontra con la vera Daisy qualcosa si inceppa, il sogno così a lungo agognato e così perfettamente costruito ha superato la realtà che sembra scolorire e deludere il sognatore, che però invece di sentirsi deluso trasforma il vero in esperienza onirica.
Quel sogno rimane vivo come la luce verde che brilla all’estremità del molo di lei e si spegne solo quando si spegne Jay Gatsby in quella piscina, con un proiettile tra le scapole.
E’ la nota stridente dei meravigliosi anni Venti in cui Fitzgerald permette di tuffarsi, fatui e spumeggianti, che nascondono il dramma sotto lo sfavillio dorato: lo stile del romanzo è fresco e le pagine scorrono veloci, fino alla fine, quando Fitzgerald dà il commiato ai lettori con un’immagine reale e dolorosamente vera, “così continuiamo a remare, barche controcorrente”.
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Commenti
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La "grandezza" accostata al suo nome che dà il titolo al libro, è ciò che Gatsby insegue per tutta la vita, solo per avere Daisy, solo per essere alla sua altezza. Ma la sua delusione è enorme quando si accorge di quanto sia vuota quella vita e la stessa Daisy.
Per non parlare della bravura di Fitzgerald nel descrivere lo spaccato di un determinato ceto americano degli anni venti!
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Trovo bellissima la tua recensione.
Del romanzo non ricordo la trama; conservo però delle immagini bellissime.
Lo scrittore ci dà una critica, forse parzialmente inconsapevole, e nel contempo ci trasmette il fascino dei ' favolosi ' anni che rappresenta. E' ciò che ci giunge dai grandi scrittori.