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LA RESA DEI CONTI
Due migliori amici ultrasettantenni che non si vedono da quarantun anni, dal giorno in cui è accaduto qualcosa, il giorno in cui Henrik scopre che sua moglie ha una relazione con Konrad, l’amico d’infanzia e gioventù con il quale aveva diviso tutto eccetto la ricchezza, il giorno in cui Konrad abbandona l’amico e l’amante per vivere ai Tropici per non tornare che quarantun anni dopo. Lui, lei , l’altro: uno stereotipo collaudato in letteratura e venuto quasi a noia ma, a mio avviso, mai scandagliato così profondamente.
Prima opera che leggo dell’autore ungherese, ne sono rimasta affascinata. Pagine intere di sentimenti che emergono a poco a poco dalle parole di Henrik che vive relegato nella sua stanza a riflettere, a filtrare ogni attimo di quel passato che d’improvviso si è sentito scagliare in faccia dalle persone che più amava e di cui più si fidava. La trama è semplice, la suspence sempre presente e crescente e una crudezza nei lunghi discorsi di Henrik davanti alle braci del camino che fa agghiacciare l’anima. La rabbia, il risentimento, l’infedeltà, la trasgressione, la delusione sono tutti sentimenti che si susseguono nel racconto di un passato che non trova tregua e non trova risposte. Ed ora tutto è a portata di mano: dopo quarantun anni e quarantatrè giorni, Konrad torna solo per dargli quelle risposte che lui cerca ed Henrik è consapevole che sono sopravvissuti entrambi alle guerre, alla morte della donna che amavano, ai Tropici solo per vivere quel momento. “Tutto ritorna, le cose e le parole girano in cerchio, talvolta fanno il giorno del mondo, poi un bel giorno si incontrano, si riuniscono e il cerchio si chiude.”
Henrik ripercorre gli anni e gli attimi con lo sguardo di un’aquila, un’aquila vecchia però, che è in grado di vedere ben oltre l’apparenza per riuscire a comprendere dove è nato l’inganno e quando. Ma poi è lui stesso a chiedersi quanto possa mai importargli “dei segreti della casa di uno scapolo, dei dettagli stantii di un caso di infedeltà coniugale, dei segreti ammuffiti di un’alcova (…), la vita intima di una donna ormai defunta e quella di due vegliardi che si avviano con passo incerto verso la fossa”. E potrei continuare a lungo a citare parole talmente profonde che scavano in fondo, ma non avrebbe senso. E’ un libro che va letto lentamente e assaporato, parola per parola, perché le risposte ad Henrik arrivano, ma non dalla voce. Sono semplicemente le reazioni di Konrad alle domande a rappresentare una risposta. E tutto questo resta quasi in sospeso lasciando nel lettore il retrogusto amaro del non detto, unica nota spiacevole. Forse, in fondo, l’amicizia era (e resta) talmente forte che bisognava solo regolare i conti, talmente forte che, se i conti fossero stati regolati quarant’anni prima sarebbe stato devastante. Solo quando gli anni non si contano più addosso, si perdono le passioni giovanili e si comprende. Si comprende davvero. “Si invecchia senza risentimento.”
Rileggerò presto questo libro e forse, crescendo nel tempo e nella mentalità, riuscirò a comprendere anche quel qualcosa rimasto in sospeso, perché non c’è dubbio che l’esperienza migliora anche la capacità di leggere, ma non dimenticherò mai l’importanza di un libro che mi ha aperto gli occhi su una lezione di vita: Henrik, nella sua solitudine, si rende conto che sua moglie e il suo migliore amico erano due anime simili e affini con in comune anche l’amore per la musica (questo gli pare una evidente manifestazione di una sensibilità diversa) e che in quella diade non c’era posto per lui. Il tempo gli ha spiegato con calma che esistono due categorie di persone “i rapporti tra l’uomo e la donna, l’amicizia, le relazioni mondane dipendono da questo, dalla diversità che divide il genere umano in due parti. E come le persone appartenenti allo stesso gruppo sanguigno sono le uniche che possano donare il loro sangue a chi è vittima di un incidente, così anche un’anima può soccorrerne un’altra solo se non è diversa da questa, se la sua concezione del mondo è la stessa, se tra loro esiste una parentela spirituale”. Quanto questo è tremendamente vero!
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Commenti
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è davvero un romanzo importante per le riflessioni che induce nel lettore.
brava. concordo con te ed altri che c'è qualcosa che rimane in sospeso, così come per quarant'anni altre cose erano rimaste sospese.
ciao paola
Ho letto la tua bella recensione: sono contento che il libro ti sia piaciuto. Io ne sono stato entusiasta e ritengo Marai uno dei migliori scrittori del '900.
Ritornando a Marai, mi farebbe piacere ricevere consigli su autori che abbiano uno stile simile al suo.
Anch'io sto leggendo sempre di più libri di letteratura straniera, perché c'è una vasta scelta di testi eccellenti.
Se ti è piaciuto Marai, posso aggiungere alcuni autori contemporanei che presentano un'intensità nello stile paragonabile a quello del grande scrittore ungherese:
. Potok, i cui libri più belli raccontano storie che proseguono in un successivo romanzo (attenzione, quindi alla corretta scansione);
. J. Roth (in particolare "La marcia di Radetski);
. Isiguro ("Quel che resta del giorno");
. Szabò (anche lei ungherese, come Marai).
Disponibilissimo per ulteriori chiarimenti, ti auguro una buona giornata.
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