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IL 'BUON SELVAGGIO' , ANCORA ?
"Dodici venti soffiano furiosamente su di noi ... non vi può essere niente di stabile".
"Camera con vista", romanzo giovanile del grande scrittore inglese Forster, è un'opera di gradevole lettura, ma non raggiunge assolutamente il livello di libri successivi, come il bellissimo "Casa Howard" o l'affascinante ed enigmatico "Passaggio in India".
Qui, le vicende si svolgono, nella prima parte, a Firenze; successivamente, in Inghilterra.
In atmosfera di sobria Belle Epoque, una ragazza inglese, accompagnata dalla matura cugina della madre,, si trova in viaggio a Firenze, in una pensione 'molto inglese', frequentata da stranieri. La camera, di cui si parla, è con vista sull'Arno. Ma i significati simbolici sono 'aperti'.
Alla bellezza di questa prima parte contribuisce lo sguardo di sottile umorismo con cui lo scrittore delinea gli ospiti, in particolare le ospiti, dell'albergo e le loro aspettative verso "il pernicioso fascino dell'Italia", cioè il pittoresco: magari "una straducola sporca e simpatica" (la congiunzione "e" al posto del "ma" la dice lunga!), oppure una scena locale ("Un tram elettrico passa sferragliando (...). Dei ragazzini cercano di attaccarvisi dietro; il bigliettaio, senza malizia, sputa loro in viso perché se ne vadano"). Il paesaggio, però, è seducente: "il Lungarno ridente di luci"; la campagna circostante, in cui "le viole s'inseguivano in rivoletti, torrenti, cateratte, irrigando il lato della collina di un blu intenso (...), coprendo l'erba di una schiuma azzurra". Complice questa meraviglia, ecco che accade 'qualcosa' ,il cui riverbero si estenderà anche al ritorno in patria.
Nella seconda parte, in Inghilterra, a mio avviso, Forster cade nei lacci dell'ideologia, che qui è il mito del 'Buon Selvaggio'. L'autore, che ben conosceva le pecche della borghesia, vi contrappone la 'spontanea naturalità'. Sappiamo, però, che la mitizzazione si basa sulla non conoscenza, quindi anche sulla non conoscenza dei limiti di questa presunta condizione.
Molti dibattiti sul rapporto natura/cultura sono avvenuti successivamente; al tempo erano ovviamente conosciute le discussioni di settecentesca memoria, e lì si attinge.
La conclusione sorprende e non sorprende. Chi ha qualche propensione per la letteratura d'intrattenimento non resterà deluso.
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Ho letto "Passaggio in India", ma non recentemente. Penso che utilizzi il flusso di coscienza, anche stilisticamente, benché non ricordi brani eclatanti come puoi trovare nell' "Ulisse" di Joyce.
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ho notato che al momento non è presente nessuna recensione di "Passaggio in India", il titolo mi interessa, tu l'hai già letto?
ti chiedo : sul piano stilistico Forster utilizza appieno il flusso di coscienza?