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La calunnia e la giustizia
“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. poiché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato”.
Un incipit letterario tra i più conosciuti in assoluto, che consegna da subito al lettore tutte le coordinate del romanzo: l'innocenza, l'inconoscibilità di un'accusa che resta tuttavia incombente, la conseguente impossibilità di difendersi.
A Josef K., stimato funzionario di banca, viene annunciato di primo mattino il suo stato di arresto (il che non significa prigionia o arresti domiciliari: egli continua ad andare al lavoro ed a portare avanti, nei limiti di quanto gli consente il sapersi accusato, una vita sociale). Da quel momento, tuttavia, il peso del procedimento aperto a suo carico inizierà ad erodere gli spazi della sua vita ed a prenderne il posto (sino ad un finale della vicenda noto quanto il suo inizio).
Se c'è una ragione per cui, aprendo un buon dizionario d'italiano, sotto la lettera K si trova l'aggettivo “kafkiano”, bisogna ricercarla in questo libro.
“Il processo” è la storia della discesa all'inferno burocratico, di un'attesa che si avvita su se stessa e diventa perenne: l'individuo che viene stritolato nelle maglie della “non giustizia” accetta infine la consapevolezza che non potrà nemmeno conoscerne il motivo, giacché la legge, in quanto si autolegittima, disprezza la pretesa altrui di essere conoscibile. E' l'esatto contrario del principio per cui la giustizia è amministrata in nome del popolo: il manifestarsi al di sopra di ogni vita umana la rende in realtà (e paradossalmente) somma.
Di fronte a ciò, l'accusato non può che salire al patibolo rassegnato: se riuscisse a infliggersi la pena da solo di certo lo farebbe, per non incomodare oltre giudici e codici.
Dal punto di vista della costruzione narrativa, il talento di Franz Kafka non si esaurisce nel dipingere la vicenda, ma si estende al modo – scientifico e “claustrofobico” al tempo stesso – con il quale egli ci arriva. Il riferimento è ai tre dialoghi che Josef K. intavola rispettivamente con l'avvocato Huld (cui si affiderà per la difesa, e che poi solleverà dall'incarico), il pittore Titorelli e il commerciante Block (anche lui cliente dell'avvocato, ma da molto più tempo di Josef, per un processo che prosegue ormai da tempo immemore). Tali dialoghi spoglieranno la stessa vicenda del protagonista di ogni possibile riscontro: il discorso dell'avvocato, nel definire i rapporti tra il difensore dell'accusato e i protagonisti della procedura, sembra privare di senso il processo in sé; quello del pittore (addentro alle cose di giustizia, sol perché è il ritrattista ufficiale dei giudici di quel tribunale) spoglia di ogni significato la giustizia; infine, quello del commerciante, nel suo voler tratteggiare le “sorti del processo” in categorie, sottrae in realtà ogni senso al diritto di difesa dell'accusato.
All'uomo che si scopre privo di processo, di giustizia e di difesa, non rimane, ovviamente, che il destino.
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Commenti
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Si tratta di un libro che inquieta, soprattutto se pensiamo a tutti i regimi illiberali del '900 e a ciò che sta addendo ora nel mondo.
No, non è facile commentare questo libro, ma è anche vero che - una volta "afferratolo" - se ne scoprono i diversi piani di lettura, e dunque potrebbe essere recensito in tanti modi.
E' impossibile non giudicare questo volume un classico, e, al medesimo tempo, è incredibile pensare a come Kafka sia entrato tra i classici: non è Tolstoi e non è Joyce... però è la dimostrazione che si può trovare l'assoluto (e qui sono d'accordo con Laura) attraverso un modo assolutamente personale di concepire il dramma umano e di raccontarlo.
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