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Il figlio
 
Il figlio 2014-10-01 12:58:47 Donnie*Darko
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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    01 Ottobre, 2014
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Petrolio e scalpi

Texas occidentale, regno incontaminato cui l'uomo comincia ad interessarsi intorno ai primi del 1800. Ne "Il figlio" si racconta proprio il periodo che va da questo momento, collimante con l'inizio della brutale conquista della frontiera, sino a raggiungere quasi i giorni nostri.
L'epopea è quella della famiglia McCullough; da semplici pionieri ad allevatori, quindi petrolieri capaci di domare (in parte) la selvaticità di quei territori generosi ma anche aspri e pericolosi, di conviverci e trarne massimo profitto sino a costruire un vero e proprio impero economico. Meyer tratteggia un parallelo tanto semplice quanto sacrosanto: il raggiungimento del potere e del benessere spesso fa tappa presso la prevaricazione e la violenza. L'autore inquadra lo stato embrionale del capitalismo sfrenato sino a raggiungerne l'apice attraversando di gran carriera duecento anni di storia americana, in cui vengono gettate le basi non solo di una famiglia, bensì di un paese che sul sopruso ha fondato la propria ragion d'essere. Secondo Meyer ciò è connaturato, ogni impero ha agito in tal modo: è un passaggio basilare dettato dalla stessa essenza umana. I nativi americani in guerra tra loro, poi derubati delle loro terre dai messicani a loro volta schiacciati dai bianchi. Un'equazione naturale alla quale è impossibile sottrarsi. Non ci sono contratti scritti nè strette di mano, solo scalpi e massacri, omicidi, stupri e ruberie, ogni firma è apposta col sangue.
Meyer scrive molto bene, ha un afflato epico che possono vantare pochi scrittori moderni, non ha il dono dell'abbreviazione ma raramente stufa.
Tre i personaggi in gioco a cavallo di epoche diverse. Si va dalla conquista della frontiera alla guerra civile americana, continuando con la scoperta del petrolio, per poi imbattersi nell'orrore della prima guerra mondiale, quindi l'avvento prepotente dell'oro nero e la scoperta dei pozzi in Medio oriente, sino all'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein.
C'è il patriarca Eli, soprannominato il Colonnello. Rapito poco più che bambino e costretto a vivere per anni con i comanche dopo aver assistito al massacro della sua famiglia. Incarna gli spiriti dominanti di quelle terre, è belluino ed arrivista, forgiato da esperienze di vita impossibili da dimenticare che uniscono l'uomo "civile" agli istinti più primitivi. I capitoli a lui dedicati sino indiscutibilmente i migliori, i più appassionati e in linea con certa narrativa avventurosa consacrata al vecchio West.
Abbiamo poi Peter, figlio del Colonnello. I suoi pensieri impressi sul diario personale. Un uomo mite, privo di carattere e quindi in eterno conflitto con il padre e il selvaggio mondo circiostante. Nel suo cuore la macchia di un tremendo delitto ed il bisogno di espiare che dura tutta la vita.
Quindi Jeanne Anne (la figura meno interessante e più monocorde), la sua vita scorre nel ricordo mentre ormai anziana si ritrova morente distesa sul pavimento. Amori, affari, figli, per una donna che è voce fuori dal coro e mai convenzionale per l'epoca, una ribelle per farla breve.
A tratti si rischia un po' di scadere in dinamiche da soap opera ma il ritratto d'insieme funziona alla grande, la storia dei McCullough si affianca a quello di una nazione (allora) in crescita instancabile dove è bene mettere a tacere la proprie coscienze.

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Commenti

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Alessandro, ho trovato interessantissima la tua recensione, sia per la capacità di contestualizzazione storica che per il senso critico.
Non conosco ancora l'autore: con quale libro cominciare?
In risposta ad un precedente commento
Donnie*Darko
01 Ottobre, 2014
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Grazie Emilio, molto gentile come al solito :)
Guarda, è il primo che leggo di Meyer, per cui penso tu possa iniziare con questo. Da quel che mi risulta è un giovane autore, in precedenza ha scritto "Ruggine americana" ma non so come sia.
Grazie, Alessandro.
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