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Un Purdy giapponese
Un libro bellissimo con un linguaggio semplice e evocativo che supera la narrativa per avvicinarsi alla poesia e al sogno. I dialoghi sono semplici e intensi: l’autore usa il linguaggio dell’anima.
Il libro però è di difficile comprensione perché certe immagini, certi personaggi sono simbolici e fanno riferimento a un immaginario non così accessibile come poteva essere la mitologia greca per Purdy. Non so se ci siano riferimenti alla tradizione giapponese (che non conosco). Probabilmente l’ignoranza di miti, fiabe, usanze giapponesi non aiuta la piena comprensione del romanzo.
Kawabata ci regala una bellissima storia d’amore tra una ragazza Komako e un uomo ozioso vicino al mondo delle lettere, Shimamura. Shimamura è un uomo freddo, la sua freddezza nasce dalla sua tendenza all’astrazione, dall’essere attirato dalle idee più che dagli uomini, dalla bellezza più che dai sentimenti.
“Shimamura, che viveva una vita d’ozio, aveva tendenza, o così gli pareva, a perdere la propria onestà con se stesso e spesso se ne andava solo per i monti per cercare di recuperarne un poco.”
La storia è ambientata nel paese delle nevi, un posto di montagna dove la gente di Tokio va in villeggiatura e dove, come in molti altri centri termali, le geishe allietano il soggiorno dei villeggianti. Komako è una geisha, per parte della storia e comunque lo è stata in passato: è quindi una figura ambigua. Certo Shimamura non ha intenzione di sciupare la sua vita tranquilla per una storia con un simile personaggio. E’ un uomo sposato e la moglie che compare solo in una pagina del romanzo e è ricordata in un’altra riga, appare intoccabile sullo sfondo della sua vita.
“Egli aborriva il pensiero delle complicazioni che potevano nascere da una relazione con una donna in una posizione così ambigua; ma inoltre la vedeva come qualcosa d’irreale, simile al volto della donna nel finestrino.”
All’opposto di Shimamura, Komako vive una vita di sentimenti e di impulsi spesso generosi. In tutte le cose che fa o le parole che pronuncia c’è il richiamo a un’interiorità profonda: il diario, i forti sentimenti, la sua generosità, i libri che legge di notte. La sua vita è tutta uno spreco (e l’idea dello spreco attira Shimmura): fa la geisha per pagare il medico a un uomo che non è il suo fidanzato, è innamorata di un uomo che non le scrive e che vede una volta l’anno, legge libri pessimi, i pochi che trova in quel paese sperduto.
Questo spreco di energie che è tutta la sua vita è la fonte del calore che irradia dalla sua persona e che in certi momenti arriva molto vicino a scaldare il cuore di Shimamura. Per quanto riguarda l’erotismo del romanzo io direi che è quasi inesistente. Il calore dei personaggi è un calore umano, quasi materno: il calore dell’intimità e della vicinanza affettiva e spirituale tra le persone.
Ma Shimamura ogni volta che arriva troppo vicino a sciogliersi, parte. “Era tempo di partire.”
La distanza porta la relazione con Komako su un piano diverso e meno pericoloso, astratto.
Significativo è il suo sogno a occhi aperti nel suo viaggio di ritorno al paese delle nevi in cui intravede il viso di Komako riflesso nel vetro dove si riflette il viso di una seconda ragazza:Yoko.
“Preso dalla stranezza di tutto questo portò una mano alla faccia poi rapidamente tracciò una linea attraverso il finestrino appannato. Un occhio di donna fluttuò davanti a lui. E lui quasi gridò per la sorpresa. Ma aveva sognato e quando ritornò in sé si accorse che si trattava solo di un riflesso del finestrino, il riflesso della ragazza seduta di fronte a lui.”
Per un momento immagina di essere innamorato di questa seconda ragazza Yoko. Ma Yoko è una figura rigida e fredda, senza vita. Non si capisce se sia una donna reale o una proiezione della fantasia di Shimamura: una donna estratta da Komako ma senza i difetti di Komako. E’ bella ma non è una geisha. E’ una tessitrice. Ma come tutte le astrazioni e come la perfezione stessa è una figura algida e senza vita.
“La faccia di Yoko era ancora là ma nonostante tutto il calore delle sue premure, Shimamura aveva scoperto in lei una inequivocabile freddezza.”
Forse è parte di Komako: una Komako idealizzata. Komako dice parlando di lei una frase inspiegabile nel romanzo: “E’ pazza questa ragazza”. Suggerisce l’idea di schizofrenia, quindi di divisione. Komako per amore si è divisa e ha generato una se stessa accettabile agli occhi di Shimamura attraverso la quale lui potrà ricordarla e pensarla come in uno specchio. Accetta per un momento di vivere una esistenza astratta e virtuale.
Ma purtroppo la perfezione di Yoko non regge di fronte al calore e all’umanità di Komako. Yoko fa una fine che sembra simbolica.
E Shimamura si scontra con la realtà. Sente entrare dentro di sé tutto il gelo delle stelle (della via Lattea), della perfezione, la consapevolezza della lontananza e della imperfezione della realtà. Il finale del libro è bellissimo.
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Commenti
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La tua recensione è molto bella.
A me il libro è piaciuto moltissimo: un Premio Nobel veramente meritato.
Penso che la letteratura, come ogni forma d'arte, non sia 'da capire' (come fosse la matematica) : deve suggestionarci, farci riflettere con la sua indeterminatezza che non è mai del tutto esaustiva, che invita a farsi rileggere. Il mondo del lettore si accosta con la propria complessità all'insondabile mondo dello scrittore.
Chi può dire di 'aver capito' la Gioconda ?