Dettagli Recensione
Il disincanto tra velluto e sdoppiamenti
Se vivessi nel 1936 avrei un panciotto di tweed nell’armadio, per le grandi occasioni. Berrei il latte nelle bottiglie di vetro gentilmente lasciate dal lattaio, e, probabilmente, giunta la sera domerei la capigliatura con la brillantina. Se vivessi nel 1936, forse, passando davanti alla vetrina di una libreria vedrei numerose copie di uno spesso, imponente libro dal titolo piuttosto melenso. “Gone with the wind”. A quel punto, forse, tirerei dritto lasciandomi alle spalle la libreria senza il benché minimo rimorso decidendo di privarmi di siffatto mucchio di carta. Il fatto è uno solo. Anzi, due. Innanzitutto, bella scoperta, non vivo nel 1936. In secondo luogo, “Via col vento” mi è piaciuto da impazzire. In questo caso specifico, però, ho dovuto sdoppiarmi. Opinabilità fa rima con sincerità, e proprio per questo devo servirmi di un alter ego, di un me medesimo virtuale e in marsina che mi aiuti a comprendere un sospetto che persiste nel suo frapporsi tra il martelletto e la sua base. Il 1936 è infatti l’anno in cui questo romanzo è stato pubblicato, ricevendo immediatamente una risposta entusiasta da parte del pubblico americano, divenendo in brevissimo tempo un caso editoriale di portata storica e rimanendo in testa alle classifiche per più di due anni consecutivamente. Le infinite traduzioni e ristampe hanno contribuito a farne uno dei libri più letti del secolo e, in realtà, di tutti i tempi. Se il mio me del XX secolo fosse stato attratto maggiormente da quella copertina, fosse entrato in libreria, lo avesse comprato e poi letto, molto probabilmente se ne sarebbe amaramente pentito. O, perlomeno, lo avrebbe liquidato con giudizi poco lusinghieri. Ne sono pienamente convinto. Come sono convinto che mi sia piaciuto, oggi, grazie al suo valore storico, più che storiografico. Gran parte della bellezza odierna di questo romanzo, a parer mio, è dovuta al fascino che questo romanzo esercita sul lettore assetato in quanto pezzo di letteratura trasecolata e sublimata da poco meno di un secolo di storia. La polvere che si deposita sulle cose, celandole e per questo rendendole arcane, in questo caso ha giocato un ruolo fondamentale nell’allettare l’interesse e nello spingere verso la decisione. La nomea, l’altisonanza, la cerchia araldica, il primato. Tutti attributi di merito e di fama, tutte onoreficenze che hanno fatto guadagnare lo scettro alla Mitchell e il batticuore alle adolescenti disinibite della prima metà del secolo. Le palpitazioni per sapere, una volta per tutte, se davvero Ashley amerà Rossella, o per sapere se quest’ultima riuscirà a riprendersi dalla rovina e a salvare Tara dalla decadenza. Le tematiche che decide di trattare la Mitchell in questo romanzo sono ben chiare, ben espresse dalla stessa autrice, che non ci nasconde i suoi moti di ripulsa, tipici di una donna sulla via della contemporaneità, verso quella leziosaggine esacerbata che invadeva tutti gli aspetti della personalità e del comportamento nel contesto del Sud America ottocentesto. Gli ultimi retaggi di quella cavalleria, di quell’epoca cortese di stampo pseudo-medievale che il Nuovo Continente non aveva mai posseduto. Un cancro in seno alla storia di un popolo. Un idillio riscaldato e disfatto nelle fondamenta. Ma, soprattutto, una ribelle. Rossella, una stupidella che non ha affatto capito di vivere le ultime ore di un mondo in declino, è, paradossalmente, quella che meglio potrà sopravvivere al tumulto e quella che più facilmente potrà rialzarsi quando questo avrà lasciato solo macerie. E’ la donna giusta nel giusto momento, per quanto ella non sappia nulla di questa coincidenza in grado di trasformare una prigione di trine e stecche di balena, in una prateria di dolori e libertà. Rossella O’Hara è bellissima e caparbia, gli occhi di smeraldo e il piglio pragmatico dell’uomo del sud, ma, soprattutto, è una creazione darwiniana che dell’adattamento fa la propria ragione di vita, con addosso le tende di velluto verde della madre e le mani disfatte dal lavoro nei campi. Io, non mi vergogno ad ammetterlo, sono stato Rossella per tutto il tempo. Qalche pagina in più e mi sarei fatto mandare dei pizzi da Liverpool. “Via col vento” è un grumo di nostalgia, è la copia di una copia, iperuranica, sfacciatamente inattuale, prole incoronata di un demiurgo in gonnella che ha saputo comporre un affresco complesso che trova il suo equilibrio compositivo nel contrasto/compensazione, rappresentato dalla eterea e benpensante Melania, e una sua ragione di esistenza nella figura senza scrupoli, ma per questo genuina, di Rhett Butler. Questo romanzo va letto. Ma va letto con l’occhio disincantato del lettore del nuovo secolo, in grado di apprezzare un revival nel revival, un gioco di specchi che, posti l’uno dirimpetto all’altro creano una profondità di stampo manzoniano in cui immergersi fino a giungere a tempi che sopravvivono solo nella saggistica più spiccia e dichiarata. E su questo sfondo storicizzato si stagliano le figurine ben cesellate, un teatrino delle ombre cinesi, di players infiocchettati e drammatici che vedono la distruzione di quel microcosmo bucolico tanto caro, grazioso, rassicurante. Ashley ne farà una malattia. Intellettuale farlocco dagli ideali immaginifici, proprio lui troverà, in senso figurato, l’epitaffio tra le frasche. Et in Arcadia ego. La festa è finita, bisogna rimboccarsi le maniche. Alcuni ce la faranno, altri no. Inutile parlare della sorte di Rossella e della sua Tara, l’imprendibile piantagione dalla rena sanguigna. Per lei c’è sempre una nuova speranza, c’è sempre qualcosa per cui vivere. Ed in questa forza, commovente e audace, si trova il nodo di un opera frivola ma essenziale che è ancora in grado di galvanizzare il pubblico. E ancora, questo romanzo, proseguirà, un domani, nel proporre i suoi fondali dipinti a chi verrà dopo di noi. Un domani. Poiché, dopo tutto, domani…
Indicazioni utili
Commenti
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |
Ordina
|
comunque il tuo commento è molto intenso!
complimenti Francesco!
ho letto infatti il libro della Mitchell molti anni ma davvero molti annii fa e mi incantò: restai incollata a leggerlo , la prima volta volta a velocità supersonica . Subito dopo me lo rilessi piano piano.
Non ho più sfogliato quelle pagine per lasciare intatto il profumo di quel ricordo .
Con gli occhi di oggi , troverei senza dubbio molte rughe .
Mi bastano le mie.
Grazie ancora .
5 risultati - visualizzati 1 - 5 |