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Quando la superficialità diventa arte
Cécile–Françoise Sagan (“Quell’estate avevo diciassette anni ed ero proprio felice”) è legata al padre Raymond, vedovo gaudente, da un elementare complesso di Elettra (“…buono, generoso, allegro e molto affettuoso con me. Non riesco a immaginare un amico migliore né più divertente di lui”).
Con lui condivide una divina, diafana superficialità (“Non mi piacevano i giovani. Preferivo di gran lunga gli amici di mio padre, dei quarantenni che mi parlavano con cortesia e affetto, dimostrando verso di me la dolcezza di un padre o di un amante”) che la porta a osteggiare la relazione del genitore con Anne (“Lei frequentava persone fini, intelligenti, discrete, noi gente rumorosa, insaziabile, a cui mio padre chiedeva di essere bella o spiritosa”).
Tutto avviene nell’estate, in Costa Azzurra (“…una grande villa bianca… si ergeva su un promontorio a picco sul mare, celata alla strada da una pineta; da lì un sentiero impervio conduceva in una caletta dorata, cinta da rocce rosse, contro cui si frangevano le onde”) con la complicità di Elsa, ex amante di Raymond, e di Cyril, giovane avvocato innamorato di Cécile.
L’erotismo di Françoise Sagan è lì: più da vedere e immaginare (“Di mattina li vedevo scendere aggrappati l’uno all’altra, ridere insieme, tutti e due con gli occhi cerchiati, e avrei voluto veramente che ciò durasse per tutta la vita”) che da vivere (“Cyril riprendeva fiato, i suoi baci si facevano decisi, tenaci, non sentivo più il rumore del mare, ma avevo nelle orecchie il pulsare rapido e incalzante del mio sangue”), quasi secondario (“Poi fu la ridda dell’amore: la paura che dà la mano al desiderio, la tenerezza e il fervore e quella sofferenza atroce, seguita dal piacere trionfante”) e di rincalzo (“Accanto a lui tutto diventava facile, carico di violenza e di piacere”) rispetto a un malessere drappeggiato e stilizzato: “Non so se dare il bel nome solenne di tristezza al sentimento sconosciuto che mi tormenta con i suoi affanni e con la sua dolcezza. E’ un sentimento così assoluto ed egoistico che quasi me ne vergogno, mentre la tristezza mi è sempre parsa onorevole”.
“Bonjour tristesse”. In uno stile sublime che canonizza la superficialità come male di vivere, vi è la dimostrazione cartacea che per scrivere un capolavoro non occorrono centinaia e centinaia di pagine…
Bruno Elpis
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Fa parte del percorso "eros", seconda tappa dopo "Uccellini" di A. Nin