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Le nere ali del tempo. Sensazione di incompletezza
Ininterrotte morti si susseguono nella piccola cittadina inglese in cui William Bellman vive con l’affetto dei suoi cari e il lavoro di una vita costruito e sudato sulle spalle. Era poco più di un bambino quando lo zio Paul, a fronte della evidente non idoneità del figlio pittore omosessuale Charles, decide di prenderlo a lavorare nell’Opificio di tessuti da sempre appartenuto alla famiglia Bellman. Il nonno di Will non approva questa scelta in quanto il padre del giovane aveva contratto matrimonio con una amabile donna di nome Dora, il cui carisma e la cui bellezza non compensavano la discrepante condizione economica di quest’ultima, era semplicemente troppo povera per poter prendere un uomo come Phill in sposo. Dopo circa un anno dalle nozze è nato William e pochi mesi dopo Phill, rendendosi conto di non ottenere appoggio nemmeno da sua madre, decide di risolvere il problema abbandonando moglie e figlio neonato.
Nonostante tutto la scelta dello zio Paul si dimostra essere ottima; il giovane ha un indiscusso talento per gli affari, una mente sveglia e aperta ai nuovi bisogni dell’opificio, è ben felice di lavorare a stretto contatto con i dipendenti dell’attività e soprattutto ama quel lavoro e non desidera altro che trascorrere i suoi giorni in quel luogo. Gli anni passano e pian piano quando prima un amico come Luke, quando il nonno, quando la madre, quando Paul e quando Charles vengono a mancare. Sempre per morti improvvise e sempre in piena solitudine. Ma si sa, la morte fa parte della vita, dunque l’affranto William non dà peso alle concatenate successioni con cui queste avvengono, non riflette sugli anni che passano e sulle persone che perde. Prende le redini dell’opificio e ne fa un impero sempre più vasto e forte a livello commerciale. E si innamora. Follemente. Perdutamente. Non solo si sposerà con una donna capace e comprensiva di nome Rose ma avrà anche la fortuna di avere ben 4 figli: Dora (la maggiore), Paul, Phill e Lucy. E mai ricorderà di quel corvo, mai rimembrerà di quel fatidico giorno in cui all’età di 10 anni e 4 giorni colpì con la sua fionda il corvide appollaiato su un albero ed ebbe febbre altissima per ben una settimana prima di dedicarsi allo studio nella città di Oxford insieme a Charles.
E così di punto in bianco Lucy inizia ad avere una forte febbre, la neonata non ce la fa e nell’arco di un giorno muore. Subito dopo vengono colpiti Paul e Phill; a loro volta sconfitti, la malattia ha la meglio. E nemmeno Rose verrà risparmiata. I sintomi sono sempre gli stessi. Un giorno dopo l’altro Will perde tutto. Che senso ha avuto la sua vita dedita all’opificio, che cosa gli ha portato e cosa gli dà aver dedicato così tante ore al lavoro se poi tutti gli affetti con cui condivideva il suo benestare gli vengono portati via? Dora. Ultima e non ultima, non immune, non ce la farà. Will lo sa. Ormai conosce la malattia, sa come comportarsi e sa che sua figlia è destinata a morire. Si dirige al Red Lion, non può continuare a stare in casa, il dolore è troppo forte. Beve, si procura una corda e si dirige al cimitero dove sua moglie e i suoi figli sono sepolti. Perché continuare a vivere così? La città è piena di morti, vittime su vittime, nessuno escluso. Dora non arriverà al giorno dopo, non ha più nulla. Il padre non ha più scopi per cui vivere. Sta per abbandonare la sua vita per sempre quando un uomo, beffardo e sicuro si manifesta come un fantasma davanti ai suoi occhi. E’ lo sconosciuto presente ad ogni funerale. L’uomo che scorgeva sempre e che tanto gli incuteva terrore: ma perché? Black, così verrà rinominato questo silenzioso personaggio, gli propone un affare. Istintivamente Will accetta, è convinto che la colpa della malattia di Dora e la morte dei membri della sua famiglia sia da attribuire a costui e se c’è anche un modo per salvarla lui come padre non può sottrarsi. Sin dal mattino successivo la figlia inizia a star meglio, quando riprende a parlare confessa alla governante di non aver sentito altro che il gracchiare dei corvi nei giorni e giorni di agonia. Ma cosa ha siglato Will con Black? Qual è l’accordo? L’unica cosa che ricorda è che “la morte non passa mai di moda”, dunque perché non aprire un opificio del lutto seguendo l’idea del misterioso uomo? Will muta, lascia il suo opificio a due direttori, è taciturno, provato, il vecchio Bellman non esiste più. I colori non fanno più parte della sua vita, solo il nero è ammesso, tollerato ed amato. A Londra darà vita alla sua nuova attività funebre appellandola “Bellman&Black” in onore del suo misterioso ispiratore. Ma non sempre tutto va come vorremmo……
Il romanzo è caratterizzato da una scrittura scorrevole, paragrafi brevi ed è avvalorato da una buona idea di partenza. Apprezzabile l’inserimento delle postille sui corvidi riscontrabili tra un capitolo e l’altro. Se però le prime 150 pagine scorrono rapide e catturano il lettore, la seconda parte dell’opera si presenta lenta, farraginosa e superficiale da un punto di vista del contenuto (troppa l’attenzione rivolta ai preparativi dell’opificio) per poi riprendersi sul finale che comunque non stupisce ed è prevedibile. Buona la morale che non convince ahimé completamente. Non lascia quella sensazione di certezza, di un’opera ben costruita e solida nel suo essere. Anche il dolore di William per “aver fatto un passo più lungo della gamba” è prevedibile. Peccato perché le premesse erano buone. Convinta a metà. Un’opera che può definirsi non impegnativa, consigliata a chi cerca un qualcosa che non richieda troppa concentrazione.
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Commenti
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A differenza della Tredicesima storia "manca quel qualcosa" (almeno secondo il mio opinabile giudizio) che lo renda indimenticabile, che gli dia quel "gusto in più", "quel tratto distintivo".
Resta comunque un romanzo ben scritto dove le capacità magnetiche dell'autrice sono indiscusse. Qualche sbavatura di cui "la tredicesima storia" era priva.
Grazie di avermi letto;
buona giornata
Scritto benissimo, ma lontanissimo dalla capacità di risucchiarti dentro de "la tredicesima storia".
Finale poco chiaro e poco incisivo.
Se l'autrice avesse dato alla morale del finale lo stesso peso della costruzione dell'emporio il libro sarebbe stato un capolavoro, ma purtroppo alla fine diventa molto superficiale.
Peccato!
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