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Stoner
 
Stoner 2014-08-28 16:00:50 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    28 Agosto, 2014
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L'emozione non ha voce

“Dal piccolo recinto spoglio e senz’alberi che conteneva suo padre, sua madre e qualche altro contadino, scrutò l’orizzonte in direzione della fattoria dov’era nato e dove i suoi avevano trascorso tutta la loro vita. Pensò al prezzo che avevano pagato, anno dopo anno, a quella terra che rimaneva com’era sempre stata, un po’ più arida, forse, e un po’ più parca di frutti. Nulla era cambiato. Le loro vite erano state consumate da quel triste lavoro, le loro volontà spezzate, le loro intelligenze spente. Adesso erano lì, in quella terra a cui avevano donato la vita e lentamente, anno dopo anno, la terra se li sarebbe presi. Lentamente l’umidità e la putrefazione avrebbero infestato le bare di pino che raccoglievano i loro corpi, e lentamente avrebbero lambito la loro carne, consumando le ultime vestigia della loro sostanza. In ultimo sarebbero diventati una parte insignificante di quella terra ingrata a cui si erano consegnati tanto tempo addietro”.
Anche William Stoner, come suo padre e sua madre, era destinato in principio a diventare “una parte insignificante di quella terra ingrata”, ma poi il destino prese per lui una piega diversa, frequentò l’università, si appassionò agli studi, divenne ricercatore e, con la stessa muta dedizione con cui “a sei anni già mungeva le loro vacche ossute, dava da mangiare ai maiali nel porcile a poche iarde da casa e raccoglieva le minuscole uova delle vecchie galline nel pollaio”, con lo stesso tenace, servizievole e disciplinato impegno che a diciassette anni già gli aveva incurvato le spalle sotto il peso delle cose da fare, dedicò tutta la sua vita all’insegnamento e divenne una parte insignificante non della terra ingrata, ma di quell’università ingrata a cui si consegnò tanto tempo addietro.
Una vita apparentemente grigia, piatta, tanto da dubitare che fosse degna di essere vissuta e che nascondeva invece sotto la cenere della monotonia e dell’inettitudine una grande capacità di provare emozione e passione, pur non riuscendo mai a comunicarla, a trasmetterla, a lasciarla trasparire. L’emozione non ha voce, sembra proprio il caso di dire, fin dal momento in cui Stoner resta affascinato anche fisicamente dai muri dell’Università, ne percorre i corridoi, accarezza le copertine dei libri, ne inala l’odore di cuoio, resta annichilito e senza parole nel momento in cui è chiamato a commentare un sonetto di Shakespeare.
Una vita non facile, non felice, non fortunata, affrontata con la mite imperturbabilità del contadino che sa che a nulla serve lamentarsi del gelo, della grandine, della natura ostile e matrigna, ma si adatta al suo ambiente e trova il modo di conviverci, di amarlo persino, con un accanimento, un fatalismo e un’ostinazione che dall’esterno possono apparire ottusi e incomprensibili.
L’esterno, le apparenze, il mondo: non c’è persona meno interessata di William Stoner a cosa succede fuori e persino due guerre mondiali riescono soltanto a suscitargli un vago senso di malessere e di disagio per il terribile spreco di energie, di sangue, di gioventù, di speranze. Stoner, a cui la vita scivola addosso come su pietra liscia e compatta, da un lato ci affascina per la sua capacità di rimanere perennemente bambino, di conservare intatto il suo stupore, a sessant’anni come a venti, dall’altro ci fa arrabbiare perché lo vorremmo meno imbelle, se non per se stesso, almeno per le persone che ama.
In ogni caso, un’esperienza che non potrebbe essere più lontana dal nostro tempo dominato dagli affanni, dall’apparire, dall’esteriorità, da una competizione sempre sproporzionata rispetto alla posta in gioco. Tanto che alla fine ci domandiamo: ma non avrà ragione lui?

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Commenti

9 risultati - visualizzati 1 - 9
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Mi fa piacere che anche tu abbia dato un giudizio positivo di questo romanzo! Bellissima recensione.
Avevo letto altre recensioni sulla "medietà" di questo personaggio, ma devo dire che questa è quella che meglio motiva tale caratteristica. Bravo.
Ciao Pierpaolo.
Molto bello il tuo commento.
Io non conosco ne' autore ne' libro, ma la valutazione che hai attribuito, altissima, mi indica che si tratta di un libro che merita di essere letto.
Bellissimo commento Pierpaolo, anche se questa "avarizia" nel trasmettere e gestire le emozioni di questo personaggio, in ogni caso non banale, non incontrano il mio modo di pensare....
Grazie a tutti!
@Emilio: è un libro che ti consiglio, credo che possa piacerti. Con i voti io sono sempre un po' in difficoltà, può essere che ho un po' largheggiato, ma sono rimasto molto soddifatto di questa lettura, decisamente la più bella che ho fatto durante le vacanze, insieme a L'arpa di Davita, che sto leggendo ora. Sapendo quanto tu apprezzi Potok, penso di averti dato un metro anche per Stoner... :-)
Non ha ragione lui, se non altro perché ha rinunciato a combattere per difendere l'amore per la figlia e per la sua donna.
ciao Cristina, infatti, questa è la parte della sua personalità che ci fa arrabbiare. Ma non si può cogliere fior da fiore: l'uomo è così e va preso tutto intero. Resta però il fascino della provocazione di una vita sotto tono che, come tutte le provocazioni non è da prendere ad esempio (non interamente almeno), ma il fascino e la suggestione restano, perchè decisamente controcorrente di questi tempi.
In risposta ad un precedente commento
Cristina72
01 Settembre, 2014
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Hai detto bene: una provocazione, soprattutto in un contesto sociale come quello americano che disprezza i “losers”, i perdenti.
Mian88
02 Settembre, 2014
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Bella analisi Pierpaolo, un personaggio complesso e ricco di sfumature, avaro nel donare emozioni e capace di offrire riflessione.
Buona giornata
9 risultati - visualizzati 1 - 9

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