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La persistenza
“Le braci” è il libro della persistenza: per vocazione è destinato a restare al mondo, e lo merita, perché è un capolavoro.
Questo è un giudizio di valore che non osserva la mera struttura dell’opera (un lavorio paziente sulla suspense) o lo stile (di rara purezza), ma l’avvicinamento ai grandi temi dell’umanità, il modo in cui risuonano, caldi, pagina dopo pagina, tratti dal metallo freddo di un’arpa.
La prima parte, col flashback sulla fanciullezza dei due amici, s’avvale d’una lentezza maestosa, un po’ ottocentesca, ma senza i cedimenti o la prolissità che, talvolta, caratterizzano le recrudescenze di quel secolo: è un realismo in cui i travi d’una casa di famiglia scricchiolano, e fuori, la vecchia campagna crepita al sole. Quando la temperatura scende, ci si ritrova in penombra, coi pendoni spessi di una tenda, i bracci dei candelabri che già attendono i ceri; e alla parete, una sequela di ritratti a olio, con uno spazio vuoto...
Ogni elemento descrittivo è vivido, reso elegante da uno sguardo che s’è allenato nell’isolamento, e col ricordo. Il protagonista stesso, un generale supersite dell’Impero asburgico (e della cultura mitteleuropea) ha trascorso quarantuno anni in attesa: sapeva che il suo amico Konrad sarebbe tornato, e il momento è giunto (in un contesto serale, d’imminente congedo: perfetto e, forse, inutile).
L’incontro costituisce la seconda (altrettanto bella) parte del romanzo: è un monologo-retrospettiva degli inavvertiti sfaldamenti di quella amicizia, uno sparso rosseggiare di braci in lungo e in largo – con una donna ormai defunta, la moglie del generale, che adesso impone degli interrogativi e l’istruzione di uno struggente processo alla vita. Tutto verte sul destino, su una radice inestirpabile che determina l’Uomo, lo condanna a un’identità e, in un certo senso, all’Errore.
Le braci ne rappresentano, appunto, la tenue sopravvivenza – quel residuo passionale, d’attaccamento e di senso di proprietà, che si mantiene nella memoria di quanto si è perduto.
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A me il libro e' piaciuto molto. Ritengo Marai uno dei Grandi del Novecento.
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