Dettagli Recensione
La torbida anarchia
“Una stanza chiusa a chiave” è un’opera nella quale Yukio Mishima riporta un’inquietudine multipla: per l’evoluzione storica del Giappone post bellico (“Era il 10 febbraio 1948”), per il disagio esistenziale, per il senso di solitudine e di morte spirituale dell’individuo (“Kazuo era solo, tentava di contrastare l’anarchia del mondo esterno, di purificare la confusione del proprio animo per identificarsi soltanto con essa”).
Per rappresentare il dramma soggettivo in quello collettivo Mishima assume i contrasti interiori di Kazuo, funzionario statale, che – dopo aver conosciuto, frequentato e amato una donna (“Al termine della notte Kiriko era morta”) – ne frequenta la figlia Fusako: una bambina di nove anni, involontariamente maliziosa e provocatoria, nei confronti della quale il giovane prova un sentimento contrastato (“Una camera chiusa a chiave… L’idea lo fece sussultare di paura e di voluttà”) con impulsi illeciti (“Chissà perché il corpo di una bambina suscita il desiderio di profanarla con atti terribilmente impuri”) e pericolosi (“Era ossessionato dalla carne della bambina. Da quella carne acerba, color pesca, delicata… una bambina. Che però possiede cuore, sangue e viscere”). Alla sorte di questa frequentazione, Kazuo fa corrispondere l’esito del dramma storico e sociale (“una tenera carne che desiderava essere profanata. Se l’avesse penetrata il mondo si sarebbe mostrato ai suoi occhi in un più ampio orizzonte. Oppure avrebbe potuto isolarsi, solitario, nell’anarchia”), mentre l’insana pulsione trova eco nelle inflessioni sadiche che animano i racconti degli avventori di locali “particolari” (“Sognò di nuovo il bar dei giuramenti”).
Il contesto storico-sociale è dominato dall’insoddisfazione (“Gli scioperi si moltiplicavano”), dall’incertezza politica (“Il governo era debole”) e internazionale (“Sui giornali Kazuo leggeva spesso una nuova espressione: guerra fredda”), dalla crisi economica (“La catastrofe dell’inflazione e della rivoluzione si sarebbe dunque consumata”) che il governo crede di contrastare con misure inadeguate (“disegnare un nuovo manifesto di propaganda per il risparmio”). Perché il Giappone vive una “doppia disgrazia o, come si suol dire, una puntura d’ape su un volto che piange”.
Lo sbocco? Sul piano esistenziale si profila il suicidio (“Capiva che sarebbe stata una pura illusione supporre che il mondo sarebbe crollato”), sul piano generale sembra non esservi soluzione (“Il mondo era semplicemente a pezzi”), sul piano narrativo il temuto epilogo (“Lo specchio lo salvò. Era gli occhi della gente… Ricordò l’amico che guardandosi allo specchio aveva esclamato: è mio fratello!”) viene risolto in modo sorprendente e sfocia nella solitudine: “Desiderava rimanere solo e chiudere a chiave la porta. L’aria di quella stanza era pura come quella di una tomba”.
Un breve romanzo inquieto, preoccupato, difficile, volutamente scandaloso, che ho letto con grande disagio, nella consapevolezza che in esso confluiscano i temi dell’eclisse culturale e spirituale, i conflitti personali e il senso della morte che attanagliano Mishima e sono elementi costitutivi della sua biografia.
Bruno Elpis
Indicazioni utili
- sì
- no
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
@ Emilio: allora aspetto il tuo commento! :-)
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Il finale e' sottile e tagliente e mi ha colta di sorpresa, aggiungendo il dramma al dramma.
Io son contenta di averlo letto, pero' quel due in piacevolezza diciamolo...ci puo' stare benissimo :-)