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A Sud Del Confine, a Ovest Del Sole
Passato da poco il mezzo del cammino della sua esistenza, Hajime si guarda indietro, perché è costretto a farlo, e può così meditare sulle decisioni che l’hanno portato a essere quello che è. Non una bellissima persona, a dire la verità, e non può essere tutta colpa dell’essere stato figlio unico in una società – il Giappone degli anni Cinquanta – che non vedeva di buon occhio chi cresceva senza fratelli o sorelle. In ogni caso, Hajime è un uomo dalle potenzialità inespresse e molto concentrato su se stesso (come dimostra la cura che riserva al proprio corpo): le svolte nella sua esistenza avvengono grazie soprattutto a donne che lui non si fa scrupoli di far soffrire, arrivando fino al punto di distruggerne l’esistenza, come succede alla prima fidanzata Izumi: forse perché l’unica donna della sua vita è (o il protagonista pensa che sia) Shimamoto, l’amica d’infanzia, anch’ella figlia unica, persa di vista nella preadolescenza, ma sempre con un posto riservato nel suo cuore. Quando ella ricompare all’improvviso dopo un quarto di secolo, pare che si possa riannodare il filo spezzato tanti anni prima attraverso l’ascolto di vecchi dischi che fanno da preludio a notti infuocate (il nostro è un maratoneta del sesso, quando vuole) con l’unico risultato, però, di incrinare - in maniera irreparabile? - il tranquillo tran-tran familiare e lavorativo che Hajime ha infine trovato al fianco della moglie (e grazie ai soldi del padre di lei). In questo breve romanzo che risale a oltre vent’anni fa, Murakami non utilizza alcun elemento fantastico o comunque esterno all’avventura esistenziale (ovvero sentimentale) del protagonista in pagine dove la riflessione predomina in modo assoluto sull’azione: eppure, grazie a una grande capacità di sviluppare il racconto e dare una voce ben precisa a Hajime, la narrazione scorre con grande facilità seguendo prima il sentiero della formazione di un giovane uomo e poi facendosi coinvolgere dalla lieve suspence creata dal mistero non svelato che circonda Shimamoto. Qualche chiacchiera di troppo e alcune soluzioni un po’ di maniera – su tutte il catatonico vagare del protagonista nel sottofinale – non inficiano il piacere di una lettura in cui il non detto è uno dei grandi segni caratterizzanti: in fondo, chissà se Shimamoto è veramente chi il protagonista pensa che sia e chissà se ci sarà un futuro per la famiglia di Hajime, ovvero se la mano sulla spalla alla fine è quella di una salvifica Beatrice.