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Piccolo, brutto e cattivo
Pigmeo sembra un giovane studente come tanti inserito in uno scambio culturale con gli Stati Uniti. Originario di un paese non meglio identificato, non appena giunto sul suolo americano, comincia a mettere in pratica il suo piano. Infatti in realtà non è altro che una cellula terroristica decisa a mettere a ferro e fuoco Washington durante una premiazione.
Fin da piccino è stato indottrinato alla cieca obbedienza tramite una rigida educazione di stampo militare, l’odio verso il capitalismo e in particolar modo nei confronti degli Stati Uniti sono la sua unica ragione di vita.
Palahniuk riferisce i pensieri e le emozioni del protagonista, elabora una presa di coscienza sorprendente, ma lo fa adottando uno stile di scrittura a dir poco ostico ed irritante. Pigmeo infatti non conosce alla perfezione la lingua del paese in cui è ospitato, si esprime infischiandosene della sintassi e trasgredendo ogni regola grammaticale. Siamo ai limiti della comprensione, indi per cui lo sforzo richiesto è massiccio, l’autore si diverte sbeffeggiando ogni schema e rischia grosso indispettendo il lettore.
Se però si riesce a entrare nell’ottica di questo linguaggio indigesto la cui traduzione, immagino, non sia stata una passeggiata, si entra a contatto con il cuore pulsante del romanzo: qui c’è l’ America del finto perbenismo, del vizio e dell’ ipocrisia, il tutto distillato dagli occhi di un ragazzino che da un regime ostentatamente assolutista si trova prigioniero di un’altra dittatura, forse ancor più subdola perché celata sotto le spoglie di una democrazia umiliata, calpestata, forse mai esistita.
L’ambiente con cui si trova ad interagire è fortemente improntato sul possesso, sull’ apparire e sull’ individualismo; si galleggia a vista in un vuoto pneumatico incarnato dall’ apatia delle nuove sessocentriche generazioni e dall’ignoranza di adulti distratti, razzisti e inadatti al ruolo del genitore.
E’ un romanzo respingente sia come stile di scrittura, sia per il cinismo con cui mette alla berlina l’autonomia del singolo, in fin dei conti schiavo, secondo Palahniuk, ad ogni latitudine di una società marcescente.
Capisco chi lo troverà un semplice cumulo di sterco, per quanto mi riguarda ho faticato maledettamente a trovare la giusta sintonia con lo stile di scrittura, dopodiché ne ho apprezzato l’incedere dissacrante e “cattivo”. Certo, una simile rivoluzione linguistica ha ben poco di piacevole, l’idea di fondo (forse per l’autore ingegnosa) è a mio parere molto discutibile.
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Commenti
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In effetti l'ho letto solo per completezza di Palahniuk, è decisamente faticoso!
Significativa l'espressione "romanzo respingente". Io, quando ho avuto fra le mani libri dell'autore, ho avvertito la sensazione di trovarmi di fronte ad uno scrittore respingente, per cui ho evitato l'acquisto.
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