Dettagli Recensione
Il padre del postmodernismo.
Avete presente il concetto di brain-storming? Ecco più o meno è quello che si prova leggendo questo breve romanzo. Pur apprezzando molto il postmodernismo non avevo mai letto Pynchon e così ho deciso di iniziare dal suo romanzo più famoso, "L'incanto del lotto 49" appunto. Il libro racconta una storia molto semplice a prima vista: una giovane donna riceve una lettera da parte di un avvocato nel quale viene avvertita che un suo ex è deceduto e che le ha lasciato una parte di eredità. Logicamente però, come ben saprete se avete mai letto un romanzo postmoderno, questa trama principale è solo la punta dell'iceberg. Infatti la nostra Oedipa (anche il nome non è casuale...) cercando informazione su questa eredità verrà a scoprire di un'organizzazione lobbistica chiamata Tristero che gestisce un "metodo alternativo" (leggi "segreto") di posta parallela a quella nazionale, la cui istituzione ha origini antichissime. Nel corso del romanzo inoltre compariranno diversi personaggi dai "nomen omen" (uno su tutti, Gervis Khan...) e molte saranno le situazione ambigue, spesso ai limiti del grottesco, che ci porteranno verso una fine-non fine tipica del romanzo postmoderno. La scrittura è complessa, resa ancora più difficile dalla traduzione piena di refusi e spesso non corretta, la trama è solo apparentemente semplice, in realtà è un libro che si presta a mille interpretazioni diverse e non è di facile comprensione, e sono solo 174 pagine... Non è il postmodernismo di De Lillo, quello è più lineare, ha un inizio e una fine, non è il postmodernismo di Palahniuk, che segue sempre un solito percorso, è più quello di Foster Wallace, quasi un realismo isterico, in cui spesso ci si allontana moltissimo dalla trama principale, quasi a perdere contatto con essa, e ci si avventura in digressioni secondarie completamente estranee alla faccenda (o almeno apparentemente). Se avete letto "Oblio" di Foster Wallace avrete subito capito a cosa mi riferisco, d'altronde quest'ultimo ha ammesso diverse volte di essere stato influenzato da Pynchon. In conclusione, se vi piace il postmodernismo leggetelo ma sappiate che non è un romanzo tanto agevole, un solo consiglio: non fermatevi a pensare a ogni digressione su quale sia o non sia il significato, perché non è detto che ci sia, il postmodernismo spesso è un esercizio di stile, l'autore ci mette dentro molto della sua conoscenza su ogni campo, anche cose eccessivamente specifiche, che a volte servono, a volte appesantiscono la storia. Il postmodernismo, a mio modo di vedere, si può riassumere con la frase "La bellezza è negli occhi di chi guarda", ogni lettore può dare ai vari passaggi un suo significato, più o meno giusto, o magari non dargliene alcuno, e credo che sia proprio qui, nell'interpretazione, il bello del postmodernismo. Pynchon nè è il padre, se vi piace o vi incuriosisce lo stile in questione, leggetelo.
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