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Caduto fuori dal tempo di David Grossman
La forma espressiva di quest’opera non è certo quella del romanzo. La parola qui è quella profondamente evocativa della poesia e la struttura si avvicina a quella della tragedia greca. Ci troviamo di fronte a una scena popolata da personaggi diversi per estrazione sociale, interessi, occupazione, ma tutti segnati da un dolore comune, la perdita di un figlio. È come se si assistesse al lamento di un coro e istintivamente si pensa a “Le troiane” di Euripide.
Lo scriba delle cronache cittadine, anche lui colpito dalla stessa disgrazia, è quasi lo scenografo che coordina i personaggi e descrive la scena nel dettaglio.
Entriamo nel vivo del dramma con il dialogo tra l’uomo e la donna, fatto di versi brevi, quasi singhiozzi, che rivelano l’esigenza di allontanarsi, muoversi per andare “Laggiù” e ricongiungersi con il figlio perduto. E “Laggiù” si configura subito come il confine tra la vita e la morte, tra l’essere e il non essere. L’uomo dunque inizia il suo viaggio e diventa l’Uomo che cammina, l’uomo che, svuotato di ogni desiderio, sogno, felicità, ha in sé solo dolore e disperazione. Come non pensare di fronte a questo personaggio, all’Uomo che cammina di Giacometti, la cui essenza è ridotta a un fascio di nervi e di ossa che gli permette a stento di procedere e attraversare una realtà priva di ogni senso e di umanità?
Il dolore e la perdita alterano la percezione di ciò che è intorno a ciascun personaggio, da qui l’esigenza di unirsi nel viaggio per tener vivo il ricordo.
La levatrice, abile ed esperta nel portare alla luce l’essere umano, qui subisce la morte e il suo linguaggio e le sue azioni sono come disgregate, atomizzate. Allo stesso modo la donna prigioniera della rete, simbolo della condizione umana, vede intorno a sé un mondo immagine del caos.
Il centauro, costretto a essere uomo-scrivania, dal momento in cui il lutto lo ha colpito, il maestro di aritmetica, i viandanti, sono tutti in movimento, non possono fermarsi. Sono come morti in vita la cui unica meta è “Laggiù”.
Ognuno di loro va incontro al figlio “caduto fuori dal tempo”, perché la crudeltà più grande per il genitore privato del figlio è pensare “come posso passare a settembre, mentre lui rimane ad agosto?”
Un’opera, questa, in cui c’è la costante contrapposizione tra movimento e staticità, vita e morte e dove il dolore si chiude in se stesso, in una sofferenza personale e egoistica. Ed è proprio l’universalità del dolore che unisce il lettore all’artista e ai suoi personaggi. E la conclusione raggiunge l’apice della poesia con quel grido espresso dal Centauro, che unisce il dolore a un profondo senso di colpa:
“ E’ solo che il cuore
mi si spezza,
tesoro mio,
al pensiero
che io….
che abbia potuto…
trovare
per tutto questo
parole.”
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Grossman è un autore che, nonostante un suo personale "scetticismo", può ispirare...
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