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Le correzioni 2014-05-08 10:51:09 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    08 Mag, 2014
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Aberrazioni?

Un giovane professore universitario dal promettente futuro che si rovina non riuscendo arginare l'istinto sessuale e la sua voglia di ribellione, una bella ragazza che rischia di mandare all'aria una carriera da chef per un non esattamente latente lesbismo nei confronti della moglie del proprio capo e il fratello dei due, già perché loro sono fratelli, quello più maturo, quello con la testa sulle spalle, l'uomo di successo che dovrebbe essere d’esempio per gli altri due ma che in realtà, con il suo complesso di inferiorità e la sudditanza psicologica nei confronti della moglie, lotta quotidianamente con il rancore e la depressione fino a sfiorare l'autolesionismo. E sullo sfondo i genitori, artefici e colpevoli del modo d'essere dei tre fratelli, di come affrontano le difficoltà, di come "s'incasinano" la vita: il padre un uomo un tempo tutto d'un pezzo che viveva di lavoro e di principi talmente rigidi da sfiorare l'estremismo ma che ormai l'età, e una malattia incurabile, hanno rabbonito (e forse rinsavito); e la madre, la figura più antipatica (e per questo forse meglio riuscita), colei ovvero che, costretta a vedersela con le tare del marito, diventa una rancorosa repressa e depressa (proprio come il fratello più grande dei tre) che fa ricadere il proprio mortificato impulso ad essere un individuo compiuto, equilibrato e libero, sui figli durante tutto il loro percorso di maturazione dalla gioventù all'età adulta, con le sue regole, con le sue cervellotiche macchinazione ed infine con le tanto famigerate, squilibrate temute eppure dovute Correzioni, quelle con la C maiuscola, quelle del titolo del libro, quelle che fanno da leitmotiv a tutta la narrazione e conducono il lettore attraverso quell’interessante spaccato di una famiglia, e per estensione di tutta la middleclass americana, che è in realtà il romanzo di Franzen.
Con quest’opera l’autore infatti ci illustra in maniera curiosa e approfondita come un termine così banale e sfruttato di questi tempi quale quello di middleclass, il nostro “benestante”, per intenderci, racchiuda in sé molteplici realtà, che possono andare dal radical/urban/social/chic, il progredito, aggiornato cittadino della metropoli, che malgrado gli agi si sente a suo modo una vittima di un sistema ipocrita che sfrutta le sue debolezze e per questo scelglie di condurre una vita “al di fuori” e ideologicamente (ma solo ideologicamente) assimilabile a quella di un anarchico nulla tenente; fino al Redneck del midwest, il rigido ultraconservatore dell'aperta campagna che per ambiente, collocazione geografica, e talvolta arretratezza culturale non può assolutamente concepire e tanto meno accettare la dissolutezza morale di chi non va alla funzione religiosa ogni domenica, di chi non ha quei "sani" principi capitalistici che lo spingono dopo la funzione ad organizzare sfarzosi ricevimenti nella sua tenuta per scatenare invidia di amici e conoscenti e di chi in buona sostanza non condivide la sua visione del mondo.
Un romanzo dunque interessante che facendo incontrare questi due estremi dello stesso segmento sociale sotto il tetto della famiglia dei protagonisti, dipinge in maniera precisa quali possano essere pregi e difetti di ogni corrente, di ogni filosofia, restituendoci prospetticamente quella che oggi per buona misura è la nostra realtà.
Ma la prospettiva di Franzen è davvero così corretta oppure è anch'essa il risultato di una distorsione, di una aberrazione, di una sua forzata "correzione"?
Sì, certo, a metterla su questo piano, penserete voi, a qualunque opera, persino alla più illuminata, si può trovare qualche difetto, ovvio, ma qui le critiche non sono tanto legate alla visione che l'autore ha del mondo o alla sua maniera di spiegarcela, e neppure a quell' auto compiaciuta pedanteria del suo descrivere i comportamenti umani in alcuni capitoli, ma alla fondamentale mancanza di equilibrio e a tratti addirittura di consequenzialità logica della sua storia, del giudizio che lui ha di essa, e in definitiva delle conclusioni che trae. Franzen nella sua denuncia dello stato attuale delle cose (poiché di denuncia per forza si deve trattare altrimenti il suo stile sarebbe veramente troppo pedante e pretenzioso) indugia particolarmente sul concetto del peccato come sfogo di una correzione, come bisogno di ribellione, di fuga, di un individuo da un ingiusto ordine precostituito vuoi da una società fondamentalmente cinica e spietata, vuoi da dei genitori rigidi e spesso non all'altezza della situazione e, indugiando in questo suo modo di vedere le cose, perde di vista il sopracitato equilibrio prospettico: ma che errori compiono esattamente i tre giovani protagonisti? Quali tremendi peccati? Sì, vero, qualche cavolata la fanno, qualche peccatuccio lo commettono, ma sono tutte cose più o meno veniali che, salvo eccezioni, potrebbero commettere tutti quanti, e in compenso loro ne vengono fuori sempre abbastanza bene, e se non proprio puliti per lo meno maturati, più esperti ed equilibrati, dunque quali sono le loro grandi colpe, e quali sono quelle dei genitori con le loro tanto odiate correzioni? Quali infine quelle della società, che a sua volta, anche se in altri modi, talvolta più brutali, redarguisce e corregge anche lei? O meglio ancora di cosa si lamenta esattamente l'autore se alla fine nel mondo che ha creato tutti pressappoco se la cavano? Non è forse il compito ultimo di un genitore educare il figlio perché alla fine possa cavarsela da solo? Non è forse la più importante prerogativa di una società permettere una degna sopravvivenza a chiunque ne faccia parte? I tre - cinque protagonisti nel mondo creato dall'autore ci riescono a sopravvivere, e tutto sommato come si diceva ci riescono anche bene, e allora di che si lamenta esattamente? Qual' è la sua denuncia? Poiché, come si diceva, se lo sforzo dell’autore fosse rivolto solo al fine di riportare un quadro del vivere moderno vorrebbe dire che il suo stile iper – realista, sottilmente umoristico, e acidamente sarcastico sarebbe fine a se stesso, buono solo a mascherare una vicenda alla Much Ado About Nothing sotto le mentite spoglie di letteratura impeganata... Ma non può essere così, dunque cosa vuole dirci esattamente, cosa vuole spiegarci col suo romanzo se tutto alla fine va pressappoco bene?
Se si vuole fare un romanzo di sfogo occorre un fatto eclatante, un qualcosa che permetta ai lettori quanto a lui scrittore, di indignarsi (sì veda per esempio Pastorale Americana) se invece si parla, si parla e si parla e poi alla fine non accade nulla a cosa servono tutti quegli sforzi, cosa serve tutto quello scrivere? Senza contare che così facendo si corre il rischio che tutto il pensiero dell'autore venga inteso solo come un lungo e, ripeto, auto compiaciuto viaggio mentale (il termine corretto sarebbe un altro ma onde evitare che taluni storcano il naso tralascerò…).
Questa dunque la principale critica che si può rivolgere al romanzo, ma criticandolo non bisogna scordare che nonstante le falle di logica, e qualche caduta di stile eccessiva, la resa finale è comunque, buona, anzi più che buona, è la resa insomma che ci si può aspettare da un autore di razza che grazie ad una grande conoscenza della storia recente e della psicologia umana, riesce malgrado tutto a regalarci un libro di grande appeal, un libro che in confronto a certa altra letteratura, se non si è troppo rigorosi, non può essere definito nient’altro che curioso, sorprendente e intellettualmente rinfrescante.
Ps.
A giudizio di chi scrive, resta comunque ancora troppo azzardato, almeno in quest'opera, il paragone tra Franzen e David Foster Wallace, se il primo infatti a livello di tematiche rimane più legato alla realtà e per questo risulta forse più appetibile, il secondo vanta uno stile per scorrevolezza e cinico umorismo che il caro Franzen per ora non è neppure in grado di imitare. E il sottoscritto, tengo a precisare, non è un fanatico ammiratore di Wallace.

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Questo paragone chi lo ha fatto con D.F.Wallace?
E' sempre un piacere leggerti Paolo
In risposta ad un precedente commento
Todaoda
10 Mag, 2014
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Grazie! :-)
Ma guarda in molti lo fanno, qualche tempo fa avevo letto un articolo sul corriere o la repubblica, e non vorrei dirti una cavolata ma se ben ricordo il paragone veniva fatto anche sul retro di una copertina di un libro di franzen, ma basta googolare i due nomi assieme. Ah e poi c'è Bloom che li detesta entrambi e li definisce dei Pynchon all'acqua di rose, sulla qual cosa potrei anche essere d'accordo, ma in senso positivo però, nel senso che Pynchon alle volte per me è veramente illeggibile
In risposta ad un precedente commento
gracy
10 Mag, 2014
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Grazie Paolo!!
A me sembra un paragone azzardato Franzen con Wallace, per non parlare di Pynchon. Li trovo diversi e ognuno bravo nel suo. Tutt'ora restano tra gli autori americani più apprezzati, un motivo ci sarà.
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