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Fenomenologia del dolore
Cosa succede nel cuore dell’essere umano quando la sofferenza si appropria delle proprie viscere? Come reagisce una donna dopo una violenza sessuale di gruppo, dopo la perdita del proprio compagno e a seguito della morte di una figlia tanto desiderata?
Questo romanzo è l’inno del dolore in tutte le sue molteplici sfaccettature e prende avvio da una tragica vicenda autobiografica: la protagonista, Mary, perde per una meningite fulminante la sua bambina Stella di cinque anni improvvisamente, irrimediabilmente ed inconsapevolmente. I tre avverbi descrivono la prostrazione subita dalla donna a partire da una calda giornata di giugno, quando lo zainetto dell’asilo della piccola giaceva, immobile, sul bracciolo della seggiola e mai più sarebbe stato indossato.
Da quel momento nulla torna come prima: il cibo non ha più sapore, l’aria fresca non rinfresca con la sua brezza la pelle, la sessualità perde qualunque stimolo, ma l’unico desiderio della donna è rimanere a letto guardando il soffitto e sperando che lo stesso si distrugga per farla salire in cielo.
Eppure la vita dà sempre una seconda chance e, senza accorgersene, Mary si trova in un negozio di filati che odora di lana e di cannella dove l’anziana donna Alice, dagli occhi melanconici e dal fare spicciolo, la inizia al lavoro della maglia e la introduce in una nuova cornice sociale, fatta di confidenze reciproche frammiste a silenzi più eloquenti di mille parole.
E così ogni punto che passa da una ferro all’altro diventa una preghiera che la mamma indirizza alla figlia così come ogni magnifica creazione è un regalo che ella confeziona per la bambina e serba sul suo cuore.
Che la vicenda sia fortemente autobiografica si deduce dalla narrazione sostenuta, fatta di andirivieni della memoria che si muove repentinamente da vicende del passato legate alla quotidianità della bambina ritratta nelle naturali attività del colorare, del preparare dolce insieme o del farsi le coccole a vicende, ad un presente fatto di dolore e all’interno del quale il dolore si articola trasformandosi lentamente da sofferenza lancinante ad una nostalgica malinconia.
Lo stile è semplice, senza barocchismi, e, proprio la linearità dell’eloquio consente al lettore di addentrarsi nel profondo nella vita di Mary fino quasi ad identificarsi.
Ritengo che sia un libro molto bello, che ha la capacità di commuovere anche chi non ha avuto figli e che ha il merito di insegnare che, pur nella sofferenza più disperata, c’è sempre la possibilità di rinascere come un’araba fenice.
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