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Un velo di nebbia e di lacrime
Haifa, 21 aprile 1948. I colpi dei mortai giunsero inaspettati squarciando l'indefinibile tensione che regnava nell'aria, caos e terrore si impadronirono improvvisamente della città. I giovani sposi palestinesi Said e Safiya, paralizzati dalla sorpresa e dalla paura, vennero travolti dall'impetuosa corrente umana che si riversava verso il mare e non si resero conto di ciò che era successo finché gli spruzzi d'acqua sollevati dai remi della barca su cui erano stati caricati a forza non li ridestarono. Ma ormai era troppo tardi, la loro casa stava per diventare proprietà dell'Agenzia Ebraica, il loro bimbo di appena cinque mesi Khaldun era rimasto lì, nella sua culla, a piangere disperato. Haifa, conquistata dalle forze sioniste, scompariva dietro un velo di nebbia e di lacrime. Quasi vent'anni di esilio, poi la mattina del 30 giugno 1967 la coppia riesce a tornare per una fugace visita alla vecchia abitazione e, chissà, anche per ritrovare il figlioletto perduto. I nostri protagonisti bussano a quello che era il loro uscio e vengono accolti da una sconosciuta, Miriam, una ebrea polacca sfuggita alle persecuzioni naziste. Oltre alla loro casa la donna ha preso anche quel bimbo che piangeva nella culla, ma ormai non è più il piccolo arabo Khaldun, ora è il soldato israeliano Dov, per lui Said e Safiya sono solo due estranei, due che stanno dall'altra parte, gli arabi suoi consanguinei sono dei nemici da combattere in una guerra senza fine. Per tutto il racconto le lacrime scendono copiose dagli occhi di Safiya, che ha consumato la sua gioventù in attesa di questo momento, senza sapere che sarebbe stato un momento terribile. Sorrisi imbarazzati si affacciano sul volto di Miriam, che esprime comprensione e solidarietà per i suoi ospiti e al contempo professa tutta la sua innocenza. Parole dure e pesanti come macigni escono dalla bocca del ragazzo, i rimproveri e il risentimento verso i genitori carnali tacciati di vigliaccheria, arretratezza e paralisi suonano come un monito a tutti i palestinesi che forse non hanno lottato abbastanza per difendere la propria patria. L'apparente calma di Said è una buccia sottile che nasconde fiamme invisibili, il suo animo è acceso di rabbia impotente, la sua mente non riesce a spiegarsi come si possa approfittare così cinicamente delle debolezze e degli errori degli altri, come si possa pensare di porre rimedio all'ingiustizia con una nuova ingiustizia. Con inevitabile coinvolgimento emotivo e una prosa tagliente nei dialoghi e dolcissima nelle parti descrittive, Kanafani racconta la struggente storia di Said e Safiya che è la storia di un intero popolo, il suo popolo, chiamato a pagare colpe non sue, cacciato malamente dalla sua terra, costretto ad abbandonare le sue proprietà e brutalmente massacrato quando ha tentato di opporre la minima resistenza. È la storia di un'incancellabile umiliazione e di un'irreversibile perdita d'identità. È la storia di una serie di domande che esigono risposte che troppa gente non riesce o non vuole dare: può l'orrore della Shoah, per quanto enorme sia stato, giustificare la violenza, gli abusi e i soprusi che da decenni continuano a perpetrarsi nei confronti dei palestinesi? È giusto risarcire un popolo dei torti subiti a scapito di chi, di quei torti, non ha nessuna responsabilità? Può la comunità internazionale continuare a chiudere gli occhi mascherando la sua ingiustificabile inerzia dietro un'ipocrita maschera di avara carità?
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oltre ai miei complimenti per la bella recensione e per l'interessante segnalazione, ti mando anche una proposta di lettura, che penso ti possa interessare. E' un libro uscito nel 1995 da Sellerio. (ho controllato adesso: su Amazon e su altri siti di vendita online è nuovamente disponibile) Il titolo è "Il mio miglior nemico" ed è stato scritto da Bassam Abu Sharif (un ex terrorista OLP) e Uzi Manhaimi (ex agente servizi segreti israeliani). Traduzione di Luca Sofri. Credo che sia il miglior libro sul conflitto israele-palestina che io abbia mai letto. Come puoi intuire, la storia viene raccontata a due voci, sotto due opposti punti di vista e fa capire tante cose. Tra l'altro, il libro è stato scritto in un periodo in cui c'erano grandi speranze per quelle terre, si erano appena stipulati gli accordi di Oslo e Rabin era seriamente interessato ad una pacificazione. Purtroppo pochi mesi dopo fu assassinato e tutto ricominciò daccapo. Però in quel periodo uomini come Abu Sharif e Uzi Manhaimi poterono scrivere un libro come questo.
il racconto deve essere straziante.
ciao Mariangela
@Pier Paolo: accetto molto volentieri il tuo consiglio di lettura, sembra davvero un libro interessante, grazie Pier Paolo. Gli accordi di Oslo li ricordo parecchio iniqui nei confronti della Palestina, ma sarebbero potuti essere comunque un punto di partenza...invece purtoppo sappiamo come sono andate le cose...
@Mariangela: si, Kanafani è bravissimo nel riuscire a trasmettere tutto il dolore del suo popolo...grazie!
Finalmente sono riuscita a reperirlo, credo che ormai sia fuori catalogo, purtroppo.
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